AnnoTazioni di Daniele Albanese hello
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Di occasioni per vedere danza contemporanea non ce ne sono molte ed è per questo meritevole l’iniziativa della Regione Toscana, “Da.To, Danza in Toscana”, di individuare alcuni luoghi dedicati alla danza, radiografando innanzitutto una sorta di scheletro, di ossatura regionale, e poi di sostenere un progetto di accoglienza di gruppi e artisti provenienti da altre regioni per permettere un necessario scambio di esperienze e per dare visibilità e ossigeno a un’arte che oggi soffre tanto – e più delle altre – della scarsezza di mezzi e di miopia culturale.
La serata del 30 ottobre presentava due lavori completamente differenti, in un curioso accostamento: da una parte Daniele Albanese, fondatore della compagnia Stalk (2002), che ormai da qualche anno si è distinto per una personale ricerca sul movimento e dall’altra l’americana Katie Duck – in Duet con Alfredo Genovesi alla chitarra elettrica – che da oltre trent’anni è una delle protagoniste dell’improvvisazione nella danza contemporanea. I due lavori, che duravano circa una mezz’ora l’uno, non avevano di fatto punti in comune, piuttosto prevalevano le differenze. Se il lavoro “brillante” di Katie Duck aveva il sapore dell’omaggio, della serata “in onore di”, quello di Albanese si segnalava invece per essere un momento di scavo e di studio, e di questo secondo preferiamo parlare perché distinto da possibili evoluzioni.
Diviso in cinque parti il lavoro di Albanese non sembra possedere una struttura chiara, una consequenzialità definita, piuttosto prevalgono elementi sparsi e intuizioni. D’altronde il titolo stesso, AnnotTazioni, denuncia questa natura d’appunto, e dunque forse è volutamente che le cinque parti non ambiscono a presentarsi compiute, ma a offrire, quello sì, degli spunti, delle strade aperte a possibili sviluppi. E l’elemento più interessante è senza dubbio la qualità del movimento e della presenza di Albanese che in questo lavoro tiene fisso una sorta di sguardo obliquo e sospetto, rivolto a un punto lontano, forse fuori scena. Il viso è spesso rivolto di tre quarti e non di rado addirittura indietro. Questo costante punto di fuga verso il fuori genera nei movimenti un senso di continua interruzione e l’impressione, accennata di qualcosa di esterno che, incombendo, vada a modificare un flusso naturale, quotidiano. È una particolare forma di presenza che si evolve all’interno di un lavoro la cui precisa scansione è dettata soprattutto dal gioco delle luci. Si parte con un’icona russa raffigurante una Madonna con bambino e proiettata sul busto di Albanese, per concludere con la ricerca di “posizioni” che siano convincenti per il pubblico, mentre una canzone in sottofondo viene fatta ripartire più volte. Se in una parte centrale del lavoro le luci, sparate violentemente sul pubblico per accecare la visione, risultano poco convincenti e non del tutto giustificate, più interessanti sono quelle piccole abbozzature, cenni di costruzione di un ipotetico “personaggio”. I vestiti scelti da Albanese ad esempio, una maglietta bianca macchiata di rosso sopra dei semplici jeans strappati, danno l’impressione di un’assoluta normalità, attraversata sottilmente da un piccolo turbamento: qualcosa verrà forse raggiunto, qualcosa muterà, intanto prevale un sentimento di attesa, come quando ci si annota un appunto per non dimenticare.
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