Farsa Madri di Alfonso Santagata - Compagnia Katzenmacher hello
Published Date: 0000-00-00 00:00:00
Solo Alfonso Santagata può attraversare Shakespeare in un modo siffatto. Solo lui e i suoi attori: in
Farsa Madri – Amlèt tu sùit, appena s'alzano le luci veniamo trasportati in un mondo di
maschere, presenze con una storia che ci pare già di conoscere. Santagata, da parecchi anni ormai, ha le idee chiare e le persegue di opera in opera. Che siano le «tentazioni» di autori contemporanei, che si tratti di scritture originali o dei suoi amori drammaturgici (Shakespeare, Beckett, Büchner ecc.), il suo teatro riesce sempre a rispecchiarci, a tratteggiare ciò che siamo. Dagli spettacoli del regista e attore pugliese usciamo con una consapevolezza in più, anche se disarmati, dismessi. Sarà per questo che i suoi lavori sono da scovare nelle stagioni più coraggiose, come è avvenuto di recente a Bologna.
Farsa Madri non è stato ospitato in qualche Stabile addormentato, ma nella rassegna forse più stimolante della città, come è
Sguardi diretto da Francesca Mazza a Castelmaggiore.
Siamo di fronte a una stanza buia che potrebbe sembrare l'angolo di un pubblico orinatoio, dentro a una stazione. Nello spazio si vede un water, ma anche un tavolo e una struttura che ricorda un pulpito. Da subito è chiaro che non siamo in nessun luogo, almeno non in un interno domestico o borghese adibito a precise funzioni. Può essere il soggiorno di un monolocale o il refettorio di una clinica psichiatrica. Può essere un cesso pubblico, come si diceva. Tutto è già successo: in questa farsa non succede nulla se non lo stare di alcuni personaggi toccati, problematici. C'è una coppia (Alfonso Santagata e Rossana Gay) che porta gli stessi nomi dei personaggi scespiriani, Claudio e Gertrude. Indossano abiti lisi, quasi plastificati. Lei gli asciuga i capelli, poi siedono al tavolo a conversare di nulla, perdendo tempo e occasioni, solo trafiggendosi con sarcastiche affermazioni («Mi rubi solo un po' la pensione»). Non dialogano neppure, solo constatano, osservano e registrano amaramente ciò che vedono, forse consapevoli dell'inutilità delle parole. Amleto, c'è anche lui, era entrato con la bara del padre. Non lo vuole seppellire, lo trascina in un loculo su rotelle addobbato con gli adesivi di Padre Pio. Abbarbicato alle spalle di Amleto sta il manichino-Orazio, che ripete in sinc le sue stesse parole doppiandole con una vocina metallica. «Portami a ballare», chiede Gertrude a Claudio, e una ridda di canzonette invade di nostalgia l'ambiente. I due hanno investito Amleto-padre con l'auto, ora sono in cura e dal pulpito parlano al telefono con un fantomatico psichiatra, a turno “fingendo” di stare bene e di volersi solo prendere cura del coniuge.
Non accade nulla, in Farsa Madri, perché tutto è già accaduto ed è per questo che Santagata, Rossana Gay, Tommaso Gargani sono maschere e non personaggi. Di loro cogliamo alcuni tratti, alcune ossessioni; non entriamo nel loro animo, lo sorvoliamo. La voce impastata dai farmaci, le movenze ingessate, i gesti netti e caricaturali costruiscono un'immagine che diventa immaginario, ma non di figure del passato o di tipi fissi di una qualche tradizione. Riconosciamo subito ciò che vediamo perché lì sul palco ci siamo noi, personcine di questa italietta che non può più ambire alla tragedia, al moto d'impeto, alla ribellione. Una farsa, siamo, ridiamo di tutto, ci crogioliamo nell'assistere a una stanca ripetizione. E mentre Califano canta il ricordo di un'amore non ci resta che guardare, ancora una volta e come tutti i giorni, aggrappati ai quei lampi di disincantata acidità, a quel che resta di un'ironia giocoforza sempre più acre.
COMPAGNIE
IMMAGINI
LINKS