Daniel Veronese, cinquantacinque anni, è una delle figure di riferimento del teatro argentino di Buenos Aires nel periodo della post-dittatura. Inizia a lavorare all'inizio degli anni ‘90, fondando El Periférico de Objetos, collettivo di teatro di figura "per adulti" che con le sue opere ha segnato l'immaginario di molti artisti rioplatensi. Topi antropormofizzati, bambole dalle orbite cave, teatrini in miniatura facevano convivere oggetti inanimati e attori, assumendo l'oscuro, la minaccia, il torbido di anni che si stavano liberando dagli incubi dei desaparecidos e attraversavano la svendita iperliberista del paese. Contemporaneamente Veronese inizia a scrivere testi propri, che verranno pubblicati in tre volumi, drammaturgie frammentarie, sospese in un presente "contaminato", popolato da personaggi spesso senza nome e "psicologia". Sul finire dei ‘90 il drammaturgo argentino diventa anche regista, dapprima mettendo in scena propri testi, negli ultimi anni indagando le scritture di Cechov, Jon Fosse, Ibsen. Un teatro intimo e stralunato, in cui la recitazione e la ritmica declinano un concetto di regia che prima di tutto deve provare a definire gli orizzonti presenti dell'arte e del mondo. Veronese tiene e ha tenuto lezioni e laboratori in svariati contesti formativi di Buenos Aires - città che dopo la crisi economica del 2001 ha visto un'esplosione di esperienze teatrali ed è considerata la città più "teatrale" del mondo - ed è riconosciuto come "maestro" da molti, al punto che anche grazie alla sua pratica in Argentina oggi è comune scrivere drammaturgie e metterle in scena allo stesso tempo, assumendo un doppio ruolo che preserva la "vita" della scrittura di scena e la letterarietà del testo scritto; Veronese è stato selezionatore del Festival Internacional de Teatro de Buenos Aires e i suoi spettacoli sono stati ospitati nei maggiori festival europei e sudamericani.
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