Circa due anni fa, nel 2005, comincia a spargersi per Roma la voce dell'apertura di un nuovo spazio teatrale al quartiere Collatino, all'interno di un'occupazione abitativa che va avanti da qualche tempo. C'è subito curiosità per l'iniziativa, anche perché quell'anno segna l'apice di una ibridazione feconda tra movimenti e operatori culturali indipendenti, che ha prodotto una moltiplicazione dei luoghi per l'arte.
Sempre interstiziali, abusivi, difesi coi denti.
Si tratta dell'esito visibile di un percorso assai più lungo. E anche il lavoro dei Santasangre viene da lontano. Per due anni la compagnia romana – una delle realtà dalla cifra più riconoscibile e matura nel panorama capitolino – lavora alla bonifica dello spazio, alternando questa attività di recupero al lavoro della compagnia. Quando finalmente lo spazio viene inaugurato, in occasione della Notte Bianca, è subito chiaro a tutti che si tratta di un posto non solo aperto alla sperimentazione e alle pratiche artistiche fuori dalle ottiche istituzionali e di mercato. Lo spazio scenico a "grado zero" del Kollatino, a cui si accede lungo un percorso di "cunicoli" che sembrano usciti da un film di fantascienza (e in effetti nel recupero dello spazio il cinema ci ha messo uno zampino), regala emozioni da subito, prima ancora di sedersi a vedere gli spettacoli, perché è un posto con un'anima. Trasuda dell'immaginario artistico (che è anche un orizzonte etico) di chi lo ha restituito alla città.
I Santasangre sono innanzitutto una compagnia. La storia del teatro contemporaneo romano è piena di casi simili, in cui gli artisti si trovano a ricoprire il ruolo di organizzatori: per necessità, ma anche per sopravvivere – in una città "geneticamente" istituzionale e con la vocazione della grande vetrina come è Roma – bisogna aprirsi, moltiplicare i linguaggi e le possibilità. Per tutti. Perché il circuito dell'arte indipendente non è mai in concorrenza, ma vive e si rafforza tanto più si moltiplica.
Artisticamente, i Santasangre si sono sempre schierati dalla parte del mix linguistico, dell'orizzonte multiprospettico. Perché è nel loro dna di artisti provenienti da diversi ambiti: video, body art, sperimentazione sonora, istallazione meccaniche. Nell'aprire uno spazio alla città, dunque, hanno permeato il Kollatino di questo modo di pensare e vivere l'arte. «La settorialità l'abbiamo sempre percepita come una contrazione dell'espressività – raccontano – è per questo che abbiamo tradotto questo concetto non solo nella scelta dei lavori da ospitare, ma anche nella tipologia degli eventi organizzati nello spazio».