Nel 2004, i Santa Sangre, un gruppo di performers provenienti da differenti esperienze, si stabilivano in uno spazio occupato della periferia romana e davano inizio ad un progetto ibrido in cui una parte era dedicata alla produzione dei propri lavori e l’altra alla volontà di trovare delle soluzioni “sostenibili” per le esigenze della scena teatrale romana. Erano gli stessi mesi in cui veniva occupato l’Angelo Mai e prendeva il via, a Roma, una stagione capace di scuotere profondamente lo status quo del teatro italiano. La nascita di queste esperienze rafforzava un sistema come quello del teatro indipendente che mai fino ad allora era riuscito a competere con il circuito istituzionale. Nei garages, nelle chiese sconsacrate, nelle scuole riarrangiate, arrivavano i finanziamenti, la promozione, i critici, i giornali e un pubblico finalmente trasversale. A rendere differente la seconda generazione dei centri sociali dalla prima è la voglia di proporsi come credibili interlocutori istituzionali, capaci di mettere i contenuti e i fatti davanti alle rivendicazioni retoriche. Una mutazione profonda determinata dal matrimonio fortunato fra una certa eredità culturale di movimento - che ha scelto di difendere i valori e non le posizioni - e le energie dei poeti, ossia gli artisti. Qualcosa di simile era accaduto negli anni ’70, quando nel fervore di un nuovo clima culturale alcuni collettivi artistici costruirono dal niente quel nuovo teatro italiano fatto di centri di ricerca e di festival, che per un paio di decenni ha dato respiro all’innovazione pur fallendo il compito di sostituirsi alla scena precedente. Oggi, a posteriori di quell’afflato che non ha resistito al tempo, lasciando in eredità al presente solo delle pachidermiche cattedrali morenti, nell’asfissia di un sistema che non è ormai né economicamente, né strutturalmente in grado di produrre un «nuovo teatro», ma che al massimo può seguitare a produrre «nuovi spettacoli» uguali a quelli vecchi, la posizione dei Santa Sangre e dei loro simili, definisce una linea di demarcazione estremamente chiara. Inventarsi relazioni istituzionali nuove, stabilire sinergie con operatori indipendenti di altre città e altri territori in una rete che non è solo distributiva, ma è anche un atto di confronto artistico, intercettare fondi attraverso i quali finanziare festival e produzioni, significa generare un nuovo organismo capace di pompare sangue (santo) nei vasi di un sistema linfatico estremamente importante come quello dei poeti che hanno la voce del nuovo, e i cui echi possono moltiplicarsi attraverso spettacoli che girano in molte città, brand che si consolidano, nomi che passano di bocca in bocca e si liberano dalle briglie del provincialismo che tiene a freno da sempre le realtà indipendenti. L’esempio di Ipercorpo, fatto l’anno scorso all’interno del Kollatino Underground, è stato dunque, nei fatti, l’unica occasione per vedere a Roma il lavoro di gruppi come Città di Ebla, Off-Ouro, Ortographe ed altri che oggi costituiscono il presente del teatro – un presente sempre comunque in bilico, sempre nella necessità di confermarsi ad ogni passo. E cosa ancor più importante, questi gruppi sono arrivati all’interno di un contenitore capace di contestualizzare, di fornire una spalla di riflessione necessaria di cui i giovani artisti (che non a caso qui sono anche organizzatori) sentono il bisogno tanto quanto il pubblico. Da una altro punto di vista, poi, la concretezza organizzativa dei Santa Sangre, ha permesso di pagare dei cachet veri ai gruppi invitati (cosa che ovviamente non succede più nemmeno nei teatri finanziati), contribuendo a creare una reale economia all’«altro sistema spettacolo». Tutto questo porta ovviamente a dover stornare continuamente energie dal proprio obiettivo principale, ossia realizzare nuovi spettacoli, ma la sensibilità contemporanea sta proprio in questa consapevolezza per cui per far correre il treno bisogna anche costruire la ferrovia.