Non si esce più dalla festa. L’interruzione rituale del tempo ciclico che ne celebra la necessità, in un tempo che sacralizza solo produzione e consumo delle merci, diventa un circolo vizioso e viziato, ininterrotto. La macchina festiva gira a vuoto: per questo l’immagine metafisica è quella dei borghesi incapaci di valicare il limite del lussuoso soggiorno dove si sono riuniti in festa ne L’angelo sterminatore (1962) di Luis Bunuel. Per quanto voglia espandersi e coinvolgere la piazza, la festa contemporanea perpetua questa chiusura. Eventi e merci si accumulano, trasformando le strade in vetrine e dilatando in modo grottesco il salotto casalingo. La gente non sente più la necessità d’indossare una maschera ma espone la nudità del proprio squallore quotidiano. La Romagna festaiola degli anni ottanta che Fellini guarda con orrore in La voce della luna (1991), in cui la sagra dello gnocco convive con l’impersonale moto della discoteca, è il tripudio del godimento forzato e senza alternative su cui incombono le antenne.
La monade del telespettatore si moltiplica, senza costruire una comunità, ritrovandosi davanti al megaschermo dei grandi eventi. Così in Strange Days (1995) di Katryn Bigelow il livellamento tra individuale e collettivo della società del futuro è rappresentato dallo scarto tra le derive in soggettiva dei tossici consumatori d’immagini virtuali e il loro ritrovarsi nella catarsi illusoria del concerto dell’ultimo dell’anno. Come forse è avvenuto due anni fa, quando la prostrazione del nostro paese ha trovato identità e redenzione nel trionfo ai Mondiali di calcio. La transitorietà di un evento che si spande sulla superficie massificata diventa risposta per un futuro individuale, come accade nel sequel di La notte prima degli esami (2008). Sintomi di una trasformazione irreversibile che il cinema manifesta non tanto nella chiusura degli autori piccoli borghesi, ma nel rispecchiamento superficiale e acritico del cinema popolare. Il fallimento sentimentale e scolastico di un adolescente trova consolazione al grido: “Siamo i campioni del mondo!”. Si scende per strada, ci si confonde nella festa, senza un progetto, senza via d’uscita.
Tommaso Isabella
Daniela Persico