Metti un giorno di fine maggio in giro per Prato: due giovani studentesse bolognesi curiose e inesperte della città, ansiose di respirare l’atmosfera pre-festival, si aggirano per l’industrioso centro toscano. Che cosa potremo trovare in una città dove i sensi unici si incrociano confondendo il nostro già pallido orientamento? Dove le rotonde si snodano e si riannodano sotto cavalcavia di nero cemento? Può capitare di perdersi, allontanarsi dal centro per cercare invano un portico che ti ripari dall’imprevisto acquazzone, nella speranza che qualcuno di passaggio ti orienti. E allora è lì che accade il miracolo, incarnato negli umili abiti di una signora di mezza età che si dichiara credente, desiderosa di compiere anche oggi una buona azione quotidiana e che ci carica sulla sua auto per condurci fino alla meta. Trasportati sull’auto invasa da San Padre Pio e croci del rosario, arriviamo sane e santificate alla piazza-parcheggio di fronte ad alte cancellate: siamo al Cantiere Ex-Macelli di Prato, la sede che, secondo l’opinione ufficiale tutti programmi circolanti, è predisposta per ospitare gli spettacoli dell’Officina Giovani.
È qui che invano cercando scopri il clima festivaliero, tra tecnici che frantumano neon, organizzatori che rimpinzano attori di biscotti Mattei, ballerini che provano brevi coreografie nel quieto rumoreggiare di attrezzi. È tra queste piastrelle verde marino che si risvegliano pulsanti i sensi dell’incauto spettatore e del laborioso uomo di teatro, entrambi alla ricerca di una nuova avventura, di un nuovo perché da scoprire insieme. Questo è Alveare, lo spazio multiforme e multicolore per i nuovi artigiani di questa precaria officina culturale, dove tra polveri, secchi di vernice e cacciaviti sparsi sul pavimento ci riesce difficile intravedere un qualche spazio per i loro spettacoli.
Ci allontaniamo, un poco titubanti per i mancati ritrovamenti. Giriamo le spalle e d’improvviso lo sguardo si rinfranca, e con lui tutti gli altri sensi: al di là della strada il Convito, contemporanea art restaurant, chill-out bar richiama languidamente la nostra attenzione. Arredamento minimal chic, colori accoglienti, procaci forme di pecorino vivacchiano nella vetrina del locale che dall’interno rivela deliziosi profumi e una pregiata cantina. È proprio qui che ci auguriamo (e con noi il giovane proprietario che per ora rimane anonimo) di scorgere da oggi in poi i protagonisti del festival e del dopo-festival pratense, l’evento che risveglia le strade, gli spiriti e i palati di questa piccola smagliante città. La golosità di questo convito ci spinge a spiare il menù e chiedere anticipazioni sui piatti che ci verranno proposti dagli chef; per oggi ci accontentiamo di un dolce, attendendo di tastare la tagliata di manzo o il baccalà toscano. Il nostro “giro” non si conclude ma ha inizio così, persi e ritrovati tra gli angoli dei palazzi bianchi, dietro i portoni delle sale e delle officine teatrali, alla ricerca delle parole migliore per descrivere i giorni curiosi che ci attendono.