Via Santa Chiara sembra quasi iniziare dal nulla, dopo che, per più di una volta l’orientamento intrecciandosi con l’intuito ci ha portate ad avvicinarci e allontanarci al 38/2, numero civico, sede legale e spazio delle prove di Kinkaleri. L’orientamento ci ha spinte lontane fino a piazza del Duomo mentre l’intuito ci ha fatto seguire un ragazzo fin dentro la sala delle prove. Arriviamo all’inizio del riscaldamento, ci presentiamo al gruppo e cerchiamo un posto buio dove farci piccole e non disturbare le prove, non sappiamo cosa ci aspetta e ascoltiamo da Massimo Conti quali sono gli spunti da cui nascerà, il 5 giugno, Alcuni giorni sono migliori di altri. Le sensazioni iniziali ci allontanano dall’unica informazione che avevamo portato con noi dalla redazione, pensavamo di trovarci di fronte a un gruppo laboratoriale inesperto, forse zoppicante e alle prime armi. In realtà i quindici/tredici partecipanti al laboratorio sono un collettivo in parte eterogeneo, si tratta infatti di persone che conoscono il lavoro di Kinkaleri, per lo più toscane e non del tutto digiune di teatro, ma ci accorgiamo che la situazione è ugualmente vivace e colorata. L’atmosfera è molto rilassata, si percepisce una buona affinità tra tutti, i corpi scricchiolanti si sciolgono e i movimenti si fanno meno rigidi, le posture di alcuni ballerini perdono d'intenzione e l’energia diventa più palpitante, i gesti prendono forme inaspettate quasi coreografiche. Lo spazio per le prove ci appare improvvisamente piccolo per quella massa, i loro sguardi e la loro evoluzioni si chiudono lievemente alle costrizioni dello spazio. La nostra presenza non disturba affatto, non sembra quasi percepita e per ora quasi non ci esprimiamo nemmeno con espressioni del viso. A pochi passi da noi i ragazzi indossano il costume di scena, il personaggio, la maschera o meglio l’anonimato. Ecco davanti a noi tredici fantasmi, per niente eterei, che quasi goffamente passano dalle luci basse della sala a quelle vivide della scena. D’improvviso quegli occhi, che prima ci sembravano poco interessati alla nostra presenza diventano curiosi, indiscreti, indagatori. Che cosa è cambiato sotto quei lenzuoli bianchi?
Sul parquet di fronte alla scena Marco Mazzoni, Massimo Conti e Gina Monaco si uniscono ai nostri occhi per osservare quella massa monocroma muoversi in due gruppi separati, sparpagliarsi e ricomporsi con impeto; sospesi tra la possibilità di avere ancora un’identità sotto quel lenzuolo e quella di non perdere di energia individuale e collettiva, nascono situazioni divertenti quanto paradossali. Il lenzuolo copre i volti, ma evidenzia gli occhi che improvvisamente si fanno estremamente grandi; non è un indumento facile da indossare, fa inciampare e talvolta cadere, in alcuni momenti è un ingombro, diventa pesante fino a piegare le spalle e a essere alzato per far respirare quei corpi che li animano. Si tratta di fantasmi veri, di quelli che non immagineresti mai di incontrare e su cui hai sempre fantasticato, sono vivi, energici, si muovono, “portano” il lenzuolo, cadono a terra con una pesantezza che nemmeno un corpo può avere, camminano ad ampi passi e piangono fino a farci ridere. Come la felicità che ci ha riempite per avere pensato “finalmente ho capito”, così ci siamo raggelate i bei pensieri durante la pausa fuori dalla sala. Silenziose e gongolanti cerchiamo posto tra le sigarette del gruppo, estorciamo qualche domanda sulla provenienza, sorridiamo ai loro commenti e ci spingiamo fino a dire un “bello” consapevoli di non potercelo permettere in quanto impavide croniste d’assalto, non facili alla corruzione. Ma quando le prove ricominciano ci guardiamo trasognate e ci diciamo con uno sguardo, che solo questa parte di prove ci basta per considerarlo qualcosa da approfondire.
Nella breve seconda parte qualcosa in più accade, il nostro coinvolgimento cerca distanza ma il tessuto si riempie e si intesse di una storia ulteriore, quella dei fantasmi che raccontano. Si parte da una notizia, quella della morte di Romeo e Giulietta, che ora diventa pop-story delle storie, con un fatto che accade ed è spunto di conversazione, azione, lite furiosa e movimento. Ma come dice il proverbio, “si sa da dove si parte ma non dove si arriverà”. Terminano così le prove, che ci piacerebbe poter rivedere per capire cosa si è sedimentato in questa sera stravagante, tra attori, giovane croniste, fantasmi e “zanza game” (mini racchette elettriche per eliminare zanzare), che non stentiamo a crederlo siano un prodotto made in Prato come questi fantasmi sono made in Kinkaleri.
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