Siamo giunti all’ultima tappa del festival che ha visto una miriade di piccole performance rincorrersi e amalgamarsi all’interno di un ex-macello e messinscene rappresentate negli spazi deputati allo spettacolo della città di Prato. Tra gli eventi artistici, siamo stati testimoni di tanti confronti, di dialoghi serrati, di discussioni animate, (di tante chiacchiere) soprattutto sulle recidive incrostature economiche che, come ruggine, rosicchiano lentamente ma visibilmente le virtù artistiche dei gruppi emergenti e dei gruppi ormai stabili della scena contemporanea italiana. È giusto tirare ora le file di questa degna manifestazione artistica? Bilanci, bilanci, bilanci: tutto deve tornare! Non è facile però imbastire il resoconto su un terreno come quello del festival che ha visto l’arte dei vari Motus, Fanny, Kinkaleri, Clandestino, Giordano e compagni internazionali insieme alle nuove leve di giovani e non giovani artisti impegnati in una lunga carrellata di performance imbastite in sei giorni su nove di festival. Di tutto questo, ahimè, restano soprattutto gli occhi malinconici degli artisti targati “Generazione 90”alla conferenza del 6 giugno a loro dedicata: delle focose discussioni ne faremo ammenda, sugli spunti e sui problemi emersi ci rifletteremo sopra, ma quello spirito illusorio, cinico, quasi disfattista, la rassegnazione che si respirava tra le file degli artisti, degli organizzatori e dei critici lasciano davvero l’amaro in bocca. Si esce dal festival con la convinzione di aver visto un’interessante, propositiva, sicuramente anomala manifestazione, ovviamente con delle pecche da risolvere (tra cui gli orari degli spettacoli, che si accavallavano e non permettevano al pubblico di godersi una serata teatrale senza forsennate corse da una parte all’altra della città). Ma per gli spettatori esperti e per i partecipanti interessati al mondo del teatro, si è usciti dai locali del festival con una sensazione di ansia, angoscia e incertezza per il futuro dell’arte. Troppe lamentele e poche proposte? Troppi rammarichi e totale assenza di soluzioni? Bando alle ciance! Se si vuole dare stabilità, professionalità e integrità ai gruppi affermati e ai nuovi promettenti artisti, ci si focalizza insieme sul problema e si cerca una via traversa, una proposta concreta, un escamotage inventato di sana pianta, alternativo, folle, anche ridicolo, purché si dia speranza a questo mondo teatrale abbandonato all’oblio.
Un giorno Claudio Longhi mi ha detto: “Il teatro non aiuta a eliminare la fame in Africa, forse non aiuta neanche a cambiare il mondo”; Nekrosius è convinto che: “Il teatro non è fondamentale, la vita lo è”, quindi magari si sta discutendo e ci si sta arrabattando su un terreno che non serve all’umanità. Non è necessario, non è utile, non è indispensabile. Ci avete pensato? Sì, ci avete pensato. Ma questa teatralità radicata e diffusa anche se misconosciuta serve a noi, che siamo tanti, che siamo un gruppo di persone, dislocato, frammentato, sconclusionato ma esistente, che cerca nel teatro una risposta e che trova in esso qualcosa per cui vale la pena essere qui: a recitare, a dirigere, a organizzare, a scrivere! Se non riteniamo che queste motivazioni siano sufficienti per andare avanti e per sfondare il muro degli stabili, aprire nuove strade per nuovi gruppi, richiedere insistentemente luoghi in cui provare, chiedere soldi per organizzare, chiedere spazi su cui scrivere, allora fermiamoci un attimo a riflettere, pensiamo ai grandi problemi del mondo o alla giusta sopravvivenza mensile delle nostre tasche e cambiamo interessi e direzione. Siamo perfettamente coscienti dei cancri economici che ci logorano il fegato ma sappiamo anche che il teatro, nonostante tutto, continua ad esistere. Ora cerchiamo di non dimenticarci perché esiste.