Il festival Contemporanea di Prato si presenta nel sistema teatrale italiano con tutta l’intenzione di esserne una anomalia, un’eccezione che non si limiti a confermare la regola ma che contribuisca a sovvertirla. Ma quali sono le regole, i confini che (de)limitano il circuito di produzione e distribuzione di spettacoli nel nostro paese? E quali sono gli spazi che il sistema offre agli artisti emergenti? Se è cosa comune dividere l’insieme dei possibili teatrali in due grandi gruppi, ovvero il teatro ”istituzionale” e il teatro “di ricerca”, è un dato di fatto che rispetto agli altri stati europei il nostro paese ha solcato pesantemente questa divisione fino a farla diventare una vera e propria frattura: da una parte la foresta di pietra dei teatri stabili, dall’altra il sottobosco dei circuiti dei festival e degli spazi alternativi. Negli anni sessanta, fu proprio la reazione dei nuovi gruppi teatrali in risposta alla fossilizzazione degli stabili che diede inizio a questo scisma. Ma se ormai da tempo la crisi cronica dei teatri istituzionali viene vissuta come una fatalità irreversibile, e in quanto tale tutti ne parlano e nessuno fa niente (come vuole la migliore tradizione italiana), anche il circuito “alternativo” comincia a incepparsi: ormai le giovani punte della ricerca del teatro italiano vanno per i cinquanta, e i rischi di una gerontocrazia del nuovo sono evidenti; la “formula festival” è stata salutata come la panacea che avrebbe curato tutti i mali, ma la realtà è che da luogo di incontro tra artisti, pubblico e critici spesso si sono trasformati in luogo di scambio, vetrine più o meno prestigiose in cui si incontrano sempre gli stessi nomi; le etichette generazionali spesso sono servite più all’ossessione tassonomica dei critici e a darsi una visibilità sul mercato che a evidenziare una reale comunanza d’intenti artistici; insomma, i due fronti continuano a guardarsi in cagnesco (salvo qualche rara e meritoria eccezione), accusandosi reciprocamente di rubarsi l’osso delle scarse risorse finanziarie che lo Stato mette a disposizione, persistendo nella convinzione che la separazione tra teatro di parola e teatro di ricerca sia stata data in natura, e non invece frutto di un processo storico e di precise scelte politiche. Questa situazione è ulteriormente esasperata dall’arretratezza del sistema legislativo e dei contributi statali: il sistema di finanziamenti ministeriali è kafkiano, per i labirinti burocratici in cui ci si deve vincolare e per i criteri valutativi, in quanto riescono ad accedere ai contributi solo le realtà già affermate e con una mole produttiva impensabile per la maggior parte dei gruppi e delle compagnie: in parole povere, il ministero fa piovere soldi sul bagnato. Inoltre da decenni ormai ci si augura che venga proposto un progetto organico di legislazione del settore teatrale, settore che ancora stenta a ricevere legittimazione e sconta una visione obsoleta ma ancora imperante, per cui la cultura non è una priorità della nazione (nonostante il succedersi continuo di mirabili dichiarazioni d’intenti), e l’intervento statale, già esiguo, si rivolge quasi esclusivamente non al riconoscimento del nuovo immateriale ma alla conservazione materiale dell’antico. E tutto questo mentre nella foresta di pietra degli stabili (d’innovazione e non) si aggira un dinosauro chiamato Ente Teatrale Italiano. In questo paesaggio prossimo all’apocalisse, Il rischio per i giovani artisti è quello di finire persi nella terra di nessuno ai bordi dei festival, carne da macello nella guerra che divide il teatro paleo-istituzionale degli stabili da una parte e il teatro della ricerca (già storicizzata, digerita ed etichettata) dall’altra. Ma chi sono i giovani artisti e dove possono trovare un loro spazio? Qual è l’identità di questa generazione di cui l’Alveare Off ci offre una vorticosa successione di assaggi da quindici minuti ciascuno? Intanto, non chiamiamoli giovani, che dei giovani non hanno l’ingenuità e spesso nemmeno l’età. Artisti emergenti piuttosto, nel vero senso di emergenza, emergenza di trovare spazi, risorse e incontri per poter sviluppare il proprio percorso di ricerca. Artisti che non sono ancora stati etichettati e che nelle definizioni di genere e di mercato si sentono troppo stretti. Rispetto alla generazione dei Teatri90 sicuramente è possibile scorgere delle linee di continuità, non tanto risalendo un presunto albero genealogico che disegni una discendenza, ma per la dimestichezza con cui sanno muoversi e giocare coi linguaggi teatrali della contemporaneità. Gli artisti presenti in questo festival si presentano come figure sparse nel panorama recente del teatro italiano, sia artisticamente che geograficamente, e che per questo forse non condividono con le generazioni precedenti la necessità o la possibilità di crearsi un’identità comune; un alveare eterogeneo che però non dovrebbe farsi sfuggire l’opportunità di conoscersi nella differenza, nella singolarità dei processi artistici individuali. E il festival Contemporanea ha anzitutto questo primo merito, di creare non una wunderkammer in cui esporre i giovani attori come rare meraviglie esotiche o mostruose, ma di proporre uno spazio per permettere agli artisti emergenti di confrontarsi non solo con un pubblico curioso del nuovo, ma anche tra loro.