Nudità e fango, tenebra e luce plasmavano in scena la prima creazione di Emmanuelle Huynh, l’assolo Mua, segnando per la danzatrice un’ennesima nascita, nel 1994, come coreografa.
Di sangue vietnamita e di cuore francese, formata nello spirito dagli studi filosofici e nei muscoli e tendini nelle aule di Mudra, scuola belga di Maurice Bèjart, l’oggi di quest’artista capace di imprimere sulla propria pelle segni di frontiera, assimilati e ricollocati, è una topografia della scena contemporanea francese, una trama di territori contigui segnati da attraversamenti e contagi: creata nel 2002, la performance Numèro, nella traiettoria che incrocia Contemporanea05 in prima nazionale, è uno di questi transiti a incastro, una costruzione per corpo di donna e architetture d’artista firmate da Nicolas Floc’h, edificio di luci per oggetti migranti dall’estremo oriente, per silhouettes e ombre cinesi, per immaginari manga e un mikado immaginario.
Attraversata come interprete la generazione di coreografi degli anni ottanta, da Nathalie Collantes a Odile Duboc, Emmanuelle Huynh ha tracciato rotte personali nel panorama della danza secondo coordinate mobili, nella sistematica coerenza di un’attitudine critica nei confronti dei presupposti e delle forme di scrittura coreografica, fino a figurare fra i nomi di spicco dell’irrequieta ‘nouvelle génération’ degli anni novanta, accanto a Jérôme Bel, Christian Rizzo o Alain Buffart, in quella corrente inseguita dalle definizioni della critica, che ha tentato termini come ‘dance conceptuelle’, per poi sondare il paradosso della ‘non-danse’.
Le geografie della creazione artistica della Huynh si orientano per punti cardinali multipli, dalla filosofia al puro movimento, interrogando processi creativi all’interno della scena come luogo di frizione di pensiero e atto e veicolo di pensiero in atto, dove la danza pratica da sé la propria dissezione, trovando nelle arti plastiche, nel cinema e nella poesia la prospettiva per rintracciare e rifondare i propri linguaggi. E, per tracciati paralleli, lingue e geografie reali, dal Vietnam per Mua, al progetto Kujoyama in Giappone cinque anni dopo, alla ricerca di modelli d’azione e riflessione esplorati a fianco di artisti e collaboratori dalle competenze tecniche e artistiche agli antipodi, dalla cucina, all’architettura, all’ikebana, e di recente, nell’estate 2004, lo sguardo alla scena turca con la direzione artistica di Istambul Danse.
Agli antipodi, che si sfiorano, la Huynh in patria ha esercitato quello stesso sguardo osservando e documentando dal 1992 il lavoro di Trisha Brown, e ha affrontato con lucidità il tema della formazione del danzatore, promuovendo laboratori e sessioni di lavoro ad ampio spettro sulle arti contemporanee. E se la coreografia eccede i confini della danza, allo stesso modo l’attitudine critica eccede la scena e incontra, in questo caso in collisione, lo stato di fatto: il suo nome figura fra i Signataires du 20 août, collettivo di danzatori, coreografi e ricercatori costituito nel 1997, antagonista delle maggiori Istituzioni della danza francese, e sostenitore militante nel movimento degli Intermittenti dello spettacolo, che ha alzato la voce nel 2003 costringendo il Festival di Avignone al silenzio, in contrasto con il governo per la politica sociale nei confronti della categoria.
Dalla scorsa stagione, Emmanuelle Huynh è impegnata in quello che è forse il più rischioso esperimento di contaminazione, e come tale il più esposto a diffidenza: è oggi alla direzione del Centro Nazionale di Danza Contemporanea di Angers, da un quarto di secolo una delle più prestigiose istituzioni della danza francese, centro di produzione e di formazione superiore esclusivamente votato alla danza contemporanea.
La sfida, preservare le proprie necessità creative per rivitalizzare l’urgenza che negli anni settanta determinò l’apertura del Centro, e imporre forme di trasmissione del ‘fare’ artistico che assecondino i moti e lo spirito dell’attualità della scena.