Lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Non dallo stomaco. Uccidere per mangiare. Scandalosa morte di periferia, l’omicidio perfetto e rimosso, la prova schiacciante nel cibo rimesso, e piange, il coccodrillo, acide lacrime gastriche. Un panno per occultare l’indizio. L’innocenza del macello cittadino abbandonato, la scena del delitto che sempre si consuma, altrove, e ovunque si digerisce. Un panno. Per occultare. La scena.
Da teatro di morte a Officina, rimessa di vite. Vicino agli occhi. Nell’ex macello, il teatro e gli sguardi rifiutano e si disputano ruoli di carnefice e vittima.
Il gancio, sospeso: il giudizio.
Ganci sospesi sulla scena, dove il silenzio non sempre è degli innocenti. Più spesso, il vuoto pieno del blaterare dei colpevoli. Lo sguardo che non può, non vuole, essere carnefice, sulla preda facile, breve, giovane. Al contrario, lo sguardo, critico, che indaga, cerca l’indizio, la macchia di sangue, la traccia lasciata da un teatro che abbia il tempo di perdere ingenua presunzione e falsa innocenza. Per educare la mano ferma, onesta, del carnefice che, il gancio, lo sappia affilare. Per nutrire. Vicino allo stomaco.