In mezzo ad alveari di giovani e meno giovani, tra artisti grandi e piccoli, dopo le prime discussioni più o meno preoccupate di critici e organizzatori, è iniziato ieri un nuovo alveare, idealmente dedicato a un pubblico di bambini. Bambini se ne sono visti pochi, ma meravigliati e sorridenti, ed era bello scoprire anche sui volti degli adulti manciate di sorrisi beatamente infantili. A vederli ci si poteva domandare: “Che cosa fa di un bambino un bambino?” e rispondersi: “Un bambino è un uomo che ancora non ha perso la speranza”, con la beatitudine degli illusi.
Torniamo alla realtà: il mondo va male, lo sappiamo, il teatro di questi giorni ce lo dice, ce lo urla, ce lo mostra in tutte le salse possibili, soprattutto con la sua stessa crisi.
Noi che di quel teatro dovevamo scriverne, abbiamo visto e discusso. Di qualcosa qualcuno diceva: “non hanno nulla da dire” e altri rispondeva “vogliono dire proprio il nulla”; ieri dal gioco di luci e ombre del Teatro Gioco Vita una voce sussurrava “Non è vero che non vogliono dire, vogliono dire come quando ci si mette a cantare senza sapere le parole.”
Ci siamo chiesti, sempre noi, a chi serva il teatro di oggi, ci siamo chiesti quale sia il pubblico che permette il teatro, con semplicità secondo I Piccoli Principi ci raccontano che “il lavoro dell’artista è solido solo quando sa parlare sia all’accademico che al lavoratore”.
Ci siamo anche guardati intorno per vedere chi ora stia tracciando quei segni che tra decine d’anni saranno tradizione, quali suoni resteranno nel tempo. Gli oggetti invecchiati del Teatro d’Artificio, raccolti tra le strade dei ricordi ci dicono che “In pianura, nella muta, nella piatta linea continua dell’orizzonte, i suoni permangono nell’aria, come a dire, a lungo.”
Dall’inizio del festival stiamo andando in cerca dell’oracolo, qualcuno che abbia il coraggio di immaginarsi un possibile futuro per il povero teatro. Finora pochi, mi sembra, hanno osato la profezia. Molti ci hanno sinceramente detto di non preoccuparsene, e in fondo hanno ragione, gli unici che dovrebbero preoccuparsene sono quelli che in futuro andranno a teatro, e se un teatro ci sarà, ad andarci saranno quei bambini che ieri sono stati incantati per la prima o per l’ennesima volta da un teatro pensato per loro.