Che strumenti la nuova giunta escogita affinchè le arti contemporanee a Bologna possano nutrirsi?
La mia percezione è che a Bologna non tiri una buona aria, dopo un anno si è mosso pochissimo, talmente poco che non posso nemmeno giudicare ciò che è stato fatto e che magari non condivido, perché non c’è proprio l’oggetto su cui riflettere.
Dopo mesi di buco, finalmente hanno nominato un direttore giovane per la Galleria D’Arte Moderna, che penso possa dare un punto di vista più adeguato sulla cultura contemporanea. La città soffre perché avrebbe delle individualità sia dal punto di vista artistico che organizzativo, realtà che come Xing da tempo hanno dimostrato chiaramente la loro identità senza tuttavia riuscire ad avere i mezzi per poter lavorare. A Bologna siamo sempre sull’emergenza e non si riesce a passare dall’adolescenza alla maturità professionale. La città in generale sulle arti contemporanee mi sembra molto bloccata, sullo spettacolo ancora di più, ma questo è un problema antecedente alla nuova giunta.
Le istituzioni hanno difficoltà a inquadrare realtà che come la nostra non gestiscono uno spazio prettamente teatrale, credo che sia necessario svecchiare delle categorie a livello nazionale: l’organizzatore teatrale ormai non è più colui che gestisce un teatro, anche perché molto teatro non accade sui palcoscenici. Deficit! è un festival sullo spettacolo contemporaneo e nel corso dei cinque anni ha avuto dei micro cambiamenti. L’oggetto che si indaga è lo stesso ma variano le modalità di approccio a seconda delle emergenze. Anche le forme sono cambiate, e di conseguenza il festival. Questa flessibilità tra oggetto, contesto e linguaggio con cui lo comunichi dovrebbe essere compresa e valorizzata, e questo stenta ad accadere in Italia.
Credi che la costruzione dell’asse ferroviario ad alta velocità che legherà in cordata Bologna a Firenze, agevolando i trasporti, possa creare delle sinergie tra le due città?
Io credo che Bologna e Firenze siano due realtà molto separate, in termini di pubblico difficilmente si potranno avvicinare. Bologna è in fase calante, Firenze ha degli impulsi - non conosco la realtà così bene per dire è in rilancio - ma ci sono delle energie interessanti, penso a CANGO (Cantieri Goldonetta) con cui collaboro, che è molto fresco perché pensato da un artista che non lo vede solo come proprio luogo ma come zona di incrocio e confronto, cosa che io trovo essere molto sana e rara in un’Italia sclerotizzata. La novità dell’esperimento di CANGO non è stata percepita dall’ambito teatrale che non è riuscito a leggerne le potenzialità.
Sento che le diverse realtà teatrali sono nella solitudine, nell’isolamento, impegnate ad arare il proprio orto, mi piacerebbe pensare a una colletività, un’unione di intenti comuni…
Io sono per le differenze, l’importante è che ci siano luoghi di confronto. In Italia si sta sulla difensiva perché si è così impegnati a pensare alla sopravvivenza quotidiana che manca la possibilità di concentrarsi su altro. L’ambiente del teatro io lo detesto, mi annoia, è piccolo, non ci tengo particolarmente a preservarlo. Le relazioni più fruttuose e interessanti anche dal punto di vista delle partnership, sono quelle che abbiamo avuto con operatori del campo visivo o con i luoghi dell’arte visiva. Fisicamente ci interessa spostarci in quell’ambito, tra l’altro Deficit! avrebbe dovuto essere alla Galleria d’Arte Moderna, ma poi nessuno prendeva delle decisioni… Indago l’ambito delle arti viventi, che in altri paesi esistono anche dal punto di vista della giurisdizione che in Italia è da ricucire passando attraverso le arti plastiche, il visivo, il musicale. Non si tratta più di interdisciplinare né di indisciplinare: il teatro ora per me è visione, siamo pieni di informazioni visive. Romeo Castellucci che è venuto a presentare la Biennale allo spazio Raum, parlava di ‘superstizione del libro’, come se il teatro avesse paura di abbandonare la parola e si tenesse ancora legato a questo feticcio, a questo morto. All’estero un ciclo è finito, in Italia c’è una strana vitalità perché i fenomeni non riescono mai a prendere forma, in questa indefinitezza della difficoltà di essere riconosciuti in un sistema, continuano ad accadere delle piccole cose che sono dei segni da valorizzare.
Una riflessione sul mondo e sul teatro che verrà…
La caduta dell’Occidente è chiara e infatti siamo al Deficit!, il teatro in quanto tale non è necessario, è importante che ci siano zone di visione e visionarietà dalla forme più diverse. Mi auguro che le carte si confondano di più, se nascessero nuove istituzioni che potessero contenere e disporre questo attraversamento, sarebbe un modo per far evolvere la nostra cultura anziché continuare a difendere il passato. Ora siamo verso zone più ambigue dove questa confusione deve trovare dei luoghi, altrimenti c’è solo implosione.