Per venti minuti un unico danzatore al centro della scena. Nessun elemento scenografico. Un enorme schermo sullo sfondo è attraversato da geroglifici luminosi, lo spazio da campioni sintetici di musiche elettroniche. Una sorta di vj-set con danzatore. Due fasci di luci a terra delimitano un corridoio centrale dove un corpo lieve e potente schizza segni geometrici che trasformano la percezione dell’ambiente: andare verso una nuova condizione.
While going to a condition è la creazione minimale e sofisticata di Hiroaki Umeda, giovane promessa della danza giapponese, che dopo aver girato Europa e America Latina, arriva al Fabbricone di Prato a proporre il suo esperimento visuale e sensoriale.
I piedi mai piantati a terra. Le braccia modellano volumi. Si ha la sensazione che il corpo, pur nella precisione scomposta dei movimenti, sia come contenuto in una massa gelatinosa, come nella vischiosità dell’albume imprigionato in un guscio intatto.
La complessa sintassi coreografica, elaborata dal danzatore ventiseienne, ricorda il magnetismo di Saburo Teshigawara. Tutto si compie in uno spazio circoscritto in cui i grafismi ora bianchi e neri, ora acidi dello schermo provocano il corpo, come crampi e contrazioni impreviste, generano diverse qualità del movimento, dalla lentezza più controllata, di orientale concentrazione, alla rapidità tecnologicamente influenzata. Pur lavorando per sottrazione, lascia l’impressione di un pieno, che non è pieno di senso. Vuoto di senso e pieno percettivo. Elaborazione virtuosa e precisa che, ci sembra raccontare, ancora una volta, un mondo di monadi separate, chiuse nella loro “cuccia d’uovo”.
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