CONVERSAZIONI > Al di qua del muro. Forme della libertà per Ateliersi
Il collettivo Ateliersi è presente al Festival con Urban spray lexicon, un progetto incentrato sulla scrittura murale che si snoda in tre appuntamenti. Boia, uno spettacolo presentato in due diversi sfondi e momenti, viene affiancato dalla conferenza-performance Freedom has many forms e dal percorso laboratoriale per adolescenti Urban spray lexicon open class. Fiorenza Menni, Andrea Mochi Sismondi e Tihana Maravic ci raccontano il percorso della compagnia.
Partiamo dal titolo Freedom has many forms. Di che libertà stiamo parlando? E quali sono i suoi limiti?
Innanzitutto precisiamo che il titolo deriva da un graffito realizzato da un artista del Cairo, Keizer, in cui quella frase viene associata alla rappresentazione grafica di diversi tipi di ali. Ci ha colpito il gioco, pur semplice, della messa in relazione scritto/immagine, perché corrisponde in qualche modo al rapporto artistico che abbiamo instaurato con la scrittura murale. Abbiamo scelto, cioè, non di immergerci in essa ma di posizionarci un gradino più in giù, mantenendo una distanza riflessiva. Detto questo, crediamo che la questione dei graffiti sia un affondo nel concetto stesso di libertà. Vedi, se il muro è quella membrana che separa il privato dal pubblico, nel momento in cui io decido di scrivervi, sto sì compiendo un atto di libertà, ma sto anche imponendo nel pubblico una mia esigenza privata. Il gesto, spontaneo e privo di vincoli, di portare alcune istanze dall’interno all’esterno, si associa immediatamente alla responsabilità del fatto che quel mio gesto diventa pubblico. Tutto ciò non ha una rilevanza politica diretta, però può essere una cartina al tornasole dei cambiamenti che si sviluppano nella sfera collettiva. Il passaggio, avvenuto in questi anni, da una predominanza delle frasi di senso compiuto o slogan alle “tag” (sorta di “firme” murali), che sono sostanzialmente un modo per lasciare traccia, è paradigmatico in tal senso. Significa che l’esigenza politica attualmente più sentita non risiede nella formulazione di concetti ma nella rivendicazione di una presenza.
Come si relaziona tutto ciò alla vostra pratica teatrale?
Attraverso la totale scomparsa delle scritte! I segni visivi che abbiamo osservato e raccolto vengono trasfigurati in gesti performativi, offrendo allo spettatore un’esperienza prevalentemente sonora. Abbiamo trattato i graffiti come “materiale nudo”, approcciandoli cioè come se fossero veri e propri versi. Da lì il nostro interesse si è però spostato verso il contesto, storico e urbano, delle scritte, fino a sfociare nell’indagine di urgenze e sentimenti che le hanno generate.