Lorenzo e Geppy Gleijeses entrano insieme nel campo da tennis. Atleta e arbitro, allievo e allenatore, figlio e padre. A destra la macchina comincia il suo lancio infinito di palline gialle. A sinistra l’atleta risponde con la racchetta, incalzato dalla voce del padre che, dalla sua torre, inizia uno spietato e magnifico monologo di incitamenti e canti. Tutta la performance
US di Fanny & Alexander, allestita allo sferisterio di Santarcangelo, è agitata da un ricco dialogo tra contrasti: lo sportivo muto e affannato che si esprime solo con il movimento, contro l’allenatore immobile e pacato che riempie la scena con la voce; il sudore e la vibrazione dell’atleta verso la sfida, contro i giudizi assoluti dell’arbitro osservatore. E ancora, i gesti agonistici che non sempre rispondono alle palle, il dispositivo dell’eterodirezione sul performer che a tratti lo fa sembrare più meccanico della macchina stessa, il bilico tra il repertorio costruito delle azioni e l’incertezza del prossimo colpo in arrivo.
[Foto Ilaria Scarpa]
Preziosa cornice, la straordinaria musica di Mirto Baliani spogliata di qualsiasi concettualità per farci percepire una tensione piena e potente.
US ci commuove per la fatica di Lorenzo intrecciata al perverso spirito competitivo che Geppy impersona con la sua voce; per il rapporto tormentato con l’inarrivabile mito da raggiungere – che si tratti di Nadal, Federer o Maradona – e per la violenta esasperazione dell’estremo che un atleta-performer come Gleijeses figlio riesce a reggere fisicamente senza mai traballare. Ciò a cui assistiamo è infine il costante rapporto di amore-odio verso la competizione e verso l’avversario, è l’elevazione del corpo in direzione dell’obiettivo cui aspira, passando dal sudore e dallo sfinimento. Una parabola che era possibile raccontare solo attraverso la poesia del gesto sportivo, denudandolo dal suo contesto e trasportandolo verso un agonismo più controverso, quello dell’attore sulla scena.