Una nebbia velata avvolge i corpi nudi delle danzatrici di Preludio. Allo scoccare delle prime note del contrabbasso di Daniele Roccato, la fila nella quale si erano schierate di profilo si scompone facendo esplodere in gesti frammentati i loro corpi veloci, le braccia sono schegge, i torsi giunchi radicati e mossi da un vento impetuoso. Non si danno pace questi corpi nudi. Le danzatrici (in scena le strepitose Ramona Caia, Claudia Caldarano, Patscharaporn Distakul, Sharon Estacio, Giulia Mureddu e Sara Sguotti) cercano il suolo, ma una volta raggiunto non lo abitano sostando nella pace e nel respiro, ma nuovamente tornano ad essere percorse da una tensione che sembra invocare la verticalità e lo fa inizialmente con i gesti nervosi delle braccia, con gli avambracci guizzanti, le dita delle mani tese verso l’alto.
Il medesimo incipit viene poi replicato ne La Sagra della Primavera, una continuità che poi viene siglata anche nello stesso finale. Uguale apertura eppur diversa, nei costumi che rievocano una nudità velandola blandamente con dei collant color carne e nella presenza in scena della componente maschile (Jari Boldrini, Nicola Cisternino, Maurizio Giunti, Giulio Petrucci, Rafal Pierzynski e Davide Valrosso). La scena è anch’essa nuda, spogliata, tinta d’un rosso cupo a terra. Questo vuoto lascia spazio alla riflessione sul rito, oggi: una ritualità quella che Virgilio Sieni propone (il coreografo firma entrambi i pezzi) lontana dal barbarico e dal primitivo. Pochi sono i momenti all’unisono, rari i cenni di compattezza del gruppo, si è in prossimità ma sempre soli. Si confina con l’altro, ci si sfiora, intreccia, si sosta insieme, anche, ma sempre in una solitudine che non è desolazione ma solo l’origine del nostro stare al mondo. I tanti corpi, ognuno con la propria unicità «molecolare» compongono una comunità. Una società che attende nel bounce, a cui franano le ginocchia ogni tanto, a cui qualcosa si frantuma, ma capace anche di riunirsi, di cimentarsi in “prese” e incontri, proprio perché ha saputo ripartire dalla propria «archeologia personale».
ph Rocco Casaluci
Entrambe le coreografie, dopo lo stesso avvio, chiudono il cerchio siglando anche il medesimo finale che vede tutti i danzatori occupare uno spazio personale e unico, rivolti verso gli spettatori, inermi e fragili, alzare le braccia al cielo, in segno di resa e supremo svelamento. La comunità di Sieni è un insieme di individui dalle specificità uniche che, nel rispetto delle diversità, si interroga rispetto allo stare al mondo individuale nella cornice di un’agorà tutta da ricostruire. Ripartendo dal corpo.