Daina Pignatti è diplomata in recitazione presso l’Accademia Nazionale di Arte Drammatica Silvio D’Amico e fa parte della compagnia Babù, associata a Sosta Palmizi. Gaia Germanà è danzaeducatrice, collabora con Musiké Progetti Educativi ed è professore a contratto presso l’Università di Bologna. Entrambe sono assistenti di Virgilio Sieni per Cena Pasolini. Le abbiamo incontrate per chiedere loro impressioni e commenti sul colossale spettacolo in scena venerdì 3 e sabato 4 aprile nel Salone del Podestà di Palazzo Re Enzo.
Partiamo da Cena Pasolini: che tipo di lavoro è stato fatto sul gesto con questi gruppi di non professionisti? Gesto quotidiano o coreografia?
Daina Pignatti: Se per coreografia intendi una codificazione del gesto, Cena Pasolini è tutto codificatissimo, tutto scritto in modo molto dettagliato, matematico. Anche perché i gruppi, i sei gruppi (5 gruppi più il coro) hanno lavorato da soli, ma sempre tenendo presente che si dovevano “incastrare” alla perfezione. I gruppi sono equazioni che si incastrano uno con l’altra. Se invece con il termine coreografia intendiamo un gesto tecnico, questo non c’è. C’è un cogliere da parte di Virgilio Sieni le identità delle persone, le loro gestualità.
Prove di Cena Pasolini, gruppo di Granarolo
Il lavoro di Virgilio parte dalle gestualità proposte dai partecipanti ai singoli gruppi?
Gaia Germanà: Non parte dalle gestualità ma dai corpi. Con i gruppi che ha seguito dall’inizio, ha composto seguendo una modalità simile a quella vista in Solo Goldberg Improvisation. Lì, una volta coinvolto qualcuno tra il pubblico, ne studia istantaneamente la fisicità e la muove come se la modellasse, come se fosse uno scultore in grado di estrarre una forma già esistente da un pezzo di marmo, lavorandolo attorno. Virgilio si pone in ascolto di una persona e delle sue possibilità, le studia e lì per lì con loro crea delle partiture che dipendono da abitudini e posture che sono proprie di quel corpo.
Dove rintracciate un’eredità “pasoliniana” in questo lavoro?
GG: Io personalmente la rintraccio nella molteplicità e nell’imperfezione del corpo. Inoltre, riguardando tempo fa Il Vangelo secondo Matteo di Pasolini, rintraccio nello spettacolo come nel film la poeticità di un gesto semplice… mi sono molto divertita a riguardare il film, e ho notato quanto fosse “sgangherato” e al tempo stesso capace di elevare lo “scarto” a gesto poetico. Mi riconosco in tante scelte che fa Virgilio, per esempio quando sono per strada rimango assorta a vedere le posture delle persone alla fermata dell’autobus, come uno si appoggia, come attraversa la strada, come inciampa o come cade anche in maniera goffa. Partire da ciò che appartiene al corpo e alla sua esperienza reale, materica.
Prove di Cena Pasolini, foto di Virgilio Sieni
Virgilio ha lavorato nello stesso tempo con tutti i gruppi?
DP: Ogni gruppo ha avuto un suo percorso sia rispetto alla poetica di Virgilio, sia rispetto alla relazione interna al gruppo e al rapporto con il gesto e con la scrittura coreografica. Ogni gruppo ha preso nel tempo una sua identità e anche un suo linguaggio, così uno stesso movimento può avere nomi diversi all’interno dei diversi gruppi. Nel gruppo dei bambini molti, quasi tutti, vengono da uno studio di danza e quindi il loro linguaggio, la loro maniera di relazionarsi è quella. Il lavoro in parte è iniziato da quel linguaggio. Per gli adulti e gli anziani, invece, ricavarsi il tempo da dedicare a Cena Pasolini in questi quattro mesi è stato un impegno ma anche una conquista. Nel gruppo degli adulti, all’interno del quale tanti stanno vivendo un periodo di stress e fatiche personali, il momento delle prove ha rappresentato uno spazio protetto di serenità, relazione, incontro. I bambini per esempio sono abituati a un sistema di prestazione, nel senso che a scuola ci si aspetta da loro una determinata prestazione, nei corsi di danza lo stesso. Dunque il loro è stato un percorso quasi opposto a questa logica della prestazione, si è dunque formato un gruppo di ragazzini che partecipa a un’esperienza, non un gruppo a cui si chiede di essere “bravi”. Parlare di Cena Pasolini con i diversi gruppi farebbe affiorare racconti ed esperienze diverse.
Prove di Cena Pasolini, gruppo bambini
Accadranno in Cena Pasolini dei guizzi inaspettati, dati dalla compresenze in scena di tutti e cinque i gruppi?
DP: Stiamo lavorando affinchè questo succeda, quindi ce lo auguriamo!
Come avete lavorato con i diversi gruppi per invitarli ad aprirsi all’ascolto, per spingerli a viversi come un corpo unico?
DP: Questi giorni che passeremo tutti insieme a Palazzo Re Enzo (mercoledì 1 e giovedì 2 aprile, ndr), lavoreremo proprio sulla concertazione di tutta una serie di appuntamenti, alcuni sono progettuali e sono stati fissati per accadere.
Come descrivereste il vostro lavoro di assistenti?
DP: Penso che il nostro lavoro sia un po’ quello degli artigiani d’affresco. C’era il grande pittore che esprimeva la sua idea facendo il cartone e “passandola” col carbone sulla parete, infine c’erano tutti quelli che coloravano l’intonaco, per esempio dando forma alle ali degli angioletti… in realtà erano loro che facevano “decollare” gli affreschi, basandosi sullo schizzo di un’altra di persona. Fuori di metafora, per noi si tratta di sapere afferrare l’essenza di un lavoro artistico, di filtrarla attraverso il proprio sentire e il proprio corpo per poi farla risuonare nei corpi e nelle persone che andranno a interpretare lo spettacolo. Come fare le ali degli angeli negli affreschi!
Prove a Carpi - foto di Carlo Giorgio, per sua gentile concessione
Nel segno di una continuità “multiforme”, mi pare che ci siano dei tocchi che partendo da Preludio, attraverso Le Sacre e in Dolce Vita ritornano nel lavoro di Sieni. Voi vedete degli elementi di continuità in Cena Pasolini?
GG: Preludio in particolare per me è stato meraviglioso e rivelatore rispetto alla ricerca del primo gesto, del primo passo… l’immagine che mi resta impressa è l’azione di soppesarsi il braccio, qualcosa che ritorna in alcune partiture di Cena Pasolini. Inizialmente Sieni ha composto con alcuni gruppi, poi c’è stato un tempo per far depositare questo materiale. Nel frattempo stava lavorando alla Sagra, quindi è facile pensare a una naturale compenetrazione. Creare insieme a dei non professionisti e poi tornare al suo lavoro con la compagnia sicuramente porta dei depositi, c’è un meticciato.
Cena Pasolini in prova, foto di Virgilio Sieni
Un pensiero, un “colore” su che cos’è per voi Cena Pasolini.
DP: Cena Pasolini oggi è diversa dall’altro giorno e della prossima prova. È un organismo in totale mutazione e il nostro lavoro è mantenerlo in dinamica. Come quando fai un percorso che conosci, hai una prima fase in cui ricordi tutti gli appuntamenti di quel percorso e ti accomodi un pochino e ti sembra di dominarlo, poi però c’è un passaggio ulteriore dentro a ciò che conosci, riesci a scoprire delle novità, delle diversità. Ti metti nella condizione di scoprire sempre. La ricerca sul gesto non termina una volta stabilita una sequenza di gesti, anzi inizia proprio in quel momento. Il nostro lavoro è riuscire ad accompagnare le persone ad andare a fondo in tale ricerca.
GG: Si tratta di un percorso che deve mantenere una vitalità prossima a quella che sta “fuori” dalla scena. Per me Cena Pasolini riesce a mettere in scena delle relazioni reali, degli incontri tra persone che saranno sempre diversi e che quindi non vanno “fissati”. Se si ripete una partitura sempre uguale, il rischio è quello di impoverirla, di farle perdere vitalità. Il lavoro sta dunque nell’apertura, nel chiedere alle persone di essere presenti a se stesse e agli altri, un lavoro di ascolto e consapevolezza che aiuta anche a godere di ogni singolo momento. Sono incontri che possono accadere ogni giorno ma non sempre siamo in grado di puntarci sopra una luce. Questa è l’occasione per farlo, e per esercitarsi a farlo.