Lo spazio della palestra dell’ITIS di Modena entra in conflitto con l’angusta camera oscura in cui gli Orthographe elaborano una performance di immagini e visioni oniriche. Tentativi di volo è la rappresentazione visiva e uditiva del volo notturno che si avvia durante il sonno profondo, quando tutte le facoltà intellettive e di controllo subiscono un arresto. Le immagini non sono definite: prendono vita lentamente, accompagnate da un tappeto di suoni cupi e di rumori continui. La luce fioca emerge dal buio e disegna figure decontestualizzate, voli della mente umana nella fase rem del sonno profondo. È il non-sense, o la citazione pittorica degli incubi di Goya, a riempire la camera oscura in cui gli spettatori sono seduti, in una bambagia pericolosamente soporifera. Se gli Ortohographe volevano indurre al sogno, con immagini sospese nel buio e rumori cullanti, hanno felicemente raggiunto lo scopo. Un’irreale atmosfera onirica circonda lo spettatore, ma le figure che appaiono e svaniscono sullo schermo restano schizzi di luce su tela, immagini sfilacciate e abbandonate a se stesse prive di una rete drammaturgica in grado di contenerle. La camera oscura funziona e ha dimostrato di avere grandi potenzialità. Ora tocca agli Orthographe tessere una narrazione visiva più consistente in grado non di intorpidire i sensi dello spettatore, ma di fargli gustare da sveglio le rimembranze di un sogno passato. P. G.
In un mondo in cui la tecnologia avanza tumultuosa, dove la qualità di una visione si misura in megapixel, la tela retinica dipinta dagli Orthographe condivide con lo spettatore l'immanenza del suo farsi, e con essa l'immediata imprecisione e la sfocatura del vivere. Il gruppo di Ravenna sceglie un anacronismo che li porta agli albori della riproduzione tecnica delle immagini, costruendo un dispositivo ottico che ancora seduce e incanta.
La magia di Orthographe è realizzata con lenti e specchi, con fonti luminose e ribaltamenti di piani. Ma questo segreto è nascosto nel ventre della rappresentazione: lo spettatore vede solo immagini proiettate su uno schermo, ne vede la trasformazione, la stesura plastica del colore, la campitura fatta di carne. Come i pittori, in Tentativi di volo Orthographe dipinge la luce, o meglio dipinge il buio, che avanza come ombra e morde i contorni delle cose, rubate allo sfondo di tenebra. Accompagnati da spirali di suono, volti di cera umida sciolgono i contorni in pennellate luminose, spettri sussurrano segreti nelle orecchie, divorandole. Ci sono girandole di spore rubate a un dente di leone, un carosello di stoffa diventa una rosa. La figura umana acquista tratti onirici, notturni, e viene scolpita dall'inquietudine. I corpi indossano una nudità retrò, una sensualità fin de siecle, mantenendo nel racconto del sogno la magnificenza dell'inconscio, con le sue proporzioni fuori misura. Su tutto, come in un volo, il respiro del vento nel microfono.
Orthographe sceglie la via di una creazione che come una creatura sconosciuta non appartiene né al mondo delle ombre né a quello della luce. Il suo teatro d'immagini a fatica viene accettato dalla scena, che rimprovera, non a torto, il saper creare una grammatica senza riuscire a trasformarla in linguaggio. Eppure nemmeno il mondo dell'arte visiva, che della forma significante si nutre senza strapparla dall'istante per innestarla in una relazione, sembra un territorio più accogliente. Del suo strumento Orthographe sta ancora immaginando l'orizzonte, ma in questo luogo che non c'è crea bellezza. L. O.
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