Nadj e Platel, due firme di prestigio per due produzioni enormi per il numero di interpreti coinvolti, per la ricchezza della scena, per la quantità di visioni gettate negli occhi degli spettatori.
Luccicanti e imponenti sul pelo dell’acqua, due creazioni profondamente diverse ma focalizzate entrambe sulla ricerca della bellezza, concepita come proliferazione di immagini e accuratezza formale nelle diapositive che Nadj spedisce da un Giappone privato e insieme mitologico, urlata e esaltante nei virtuosismi di Platel, in corpi che tutto possono e niente temono. E, nel segno dell’apertura dei mercati, dedicati a un pubblico cosmopolita. Ma navigando in queste acque si deve correre il rischio di urtare un interrogativo sommerso, sempre minaccioso: il successo di procedimenti inizialmente di avanguardia, di pro-vocazione, di slittamento tra rappresentazione e realtà, di guerriglia alla comunicazione, tende forse inesorabilmente al suo inverso? L’opera contemporanea nel mercato delle arti si impone solo quale perfetta confezione?
Potenza dello star system, paradossale per chi frequenti la danza contemporanea italiana, cenerentola scalza, ma coltivato e istituzionalizzato oltr’alpe, dove il grande artista ha riconoscimento politico e istituzionale, come nella Francia dei Centres Chorégraphiques.
E se il superamento del moderno come ricerca del nuovo a tutti i costi e la deriva del genere contemporaneo nel postmoderno feticcio, avesse creato un’etichetta “contemporaneo” già cristallizzata in modelli statici, efficace sul piano economico?
Ci può essere opera senza merce in teatro? Forse no, se Bae nel suo Journal d’inquiétude deve farsi sponsorizzare da un noto coreografo per presentare un assolo, pur denso di senso e intimità. Eppure, anche nella costrizione della contingenza delle risorse, un tenace impulso creativo si impone, nell’ironica solidarietà delle star ospiti di Bae, che ne accettano la regia come riconoscendo e piegandosi alla forza dell’idea.
Il “contemporaneo” nelle sue forme più dinamiche, in corsa sul presente, ci sembra rivelarsi più spesso in una danza che sia attenta alle modalità del suo farsi piuttosto che a risultati scenici formalmente ineccepibili, che racconti con disarmante onestà le difficoltà di vendere uno spettacolo oggi, le bugie da spacciare agli organizzatori avanzando collaborazioni prestigiose ma pretestuose, e che si ostini in una ricerca personale difficile e a tratti ostica, orlata di mistero e per questo spesso, e purtroppo, lontana da grandi plausi. V. B. e L. O.