MAPPE > Album di famiglie: foto di gruppo dal festival
Nel percorrere le vie del festival, artisti e pubblico, non si trovano solo di fronte al teatro e a tutte le sue ibridazioni, ma anche a storie personali, passate e presenti, pensate o solo tratteggiate da molte delle compagnie in cartellone.
Uno filo rosso, infatti, sembra collegare gran parte degli spettacoli presenti al Festival: il tema della famiglia, dell’incesto, della comunità sociale, emergono con forza; nella scelta dei testi, nelle poetiche e negli stili di vita.
Si è cominciato con Michela Lucenti e i suoi I Sette a Tebe. Tratto da uno dei testi cardine della drammaturgia eschilea, dove lo scontro/incontro tra i fratelli Eteocle e Polinice è causa ammorbante di una faida familiare, che vede l’uno contro l’altro inesorabilmente. Una guerra intestina che per ovvie ragioni diventa della comunità intera, sconvolgendone gli equilibri. Nuove generazioni a confronto, incapaci di trovare un dialogo, figlie di quel mitologico incesto, primo motore di sventure, nonostante il sacrificio del padre Edipo.
Anche lo spazio cinema ha seguito questo stesso filo, con la proiezione di Rebus per Ada del gruppo Fanny & Alexander. Qui il tema del doppio, dell’ipocrisia borghese e dell’incesto tra fratello e sorella, sono lo sfondo di un enigmistico/enigmatico gioco sul significato intrinseco delle parole in azione. Un lungometraggio liberamente tratto da Ada o Ardore di Vladimir Nabokov.
Meno sperimentale, ma non certo meno crudele e agghiacciante, il rapporto tra i tre fratelli di Prima della Pensione di Teatro I. Una profana triade fondata su odio, risentimento e follia, dove l’incesto tra Rudolf e Vera non è altro che il coronamento di una situazione famigliare da tempo fuori controllo. Tratto dall’omonimo testo di Thomas Bernhard, lo spettacolo rinchiude in un box di plexiglass tutta la più nera abiezione del genere umano.
Si può camminare ancora, attraverso travagliate vicende personali, come quella raccontata da Thierry Baë e dal suo Journal d’Inquiétude. “Grido danzato” di un ballerino, che non riesce ad accettare l’invecchiamento, e una carriera da sempre frenata da un’insufficienza respiratoria.
Ci si può fermare, in una piazza, ad osservare le tre Marie di Ekate Teatro, che con Nel Nome di Chi indagano l’universale femminile e i suoi perenni travagli fuori e dentro la famiglia e la società. Una voce fuori campo, immanente e brutale accompagna l’azione attraverso la cruda elencazione alfabetica dei martiri della storia, tratta dal “Vangelo secondo Gesù” di Saramago. Un dialogo serrato tra un Cristo che chiede e un Dio che ascolta.
Osso di Sieni sembra non allontanarsi da questa poetica del “personale”, del privato in scena. Il coreografo costruisce un discorso danzato insieme al padre Fosco. Due generazioni, uno stesso contesto che contemporaneamente avvicina e estrania.
“Le famiglie del Festival” non sono però solo grandi temi probabilmente fondati sull’esigenza di approfondire i cardini di una società contemporanea piena di conflitti e contraddizioni, ma anche delle vere e proprie famiglie “di sangue”. Vedasi la Socìetas Raffaello Sanzio e la Compagnie Rasposo.
Il cerchio si stringe nel mettere in evidenza altre parentele che sono scelte di vita incorporate in termini quali collettivo, comune, compagnia, gruppo e altri ancora. Inutile dilungarsi su nomi e cognomi perché sicuramente questo è un discorso che vale per tutti coloro che scelgono di fare teatro. Forse è importante piuttosto analizzare come certe dinamiche vengono messe in atto. Pippo Delbono per esempio, convive con una compagnia numerosissima, un felliniano carrozzone che accorpa umanità diversamente connotate; altri come Scimone e Sframeli mantengono una dimensione più intima, così come Fabrizio Favale e le sue Supplici, dove il lavoro ha come centro propulsore e creativo non un collettivo, ma delle personalità.
Un excursus sul teatro/vita sembra quasi un eufemismo, in una cultura che ormai da millenni fa di quest’ arte lo specchio delle diverse società; ma ciò è vero solo in parte. La contemporaneità, infatti, si incentra sul singolo, trova nell’individualismo e nell’egotismo il portabandiera della sua struttura interna. Allora vale la pena chiedersi che cosa ancora spinga gli uomini a stare insieme sempre, a connotarsi “fisicamente” all’interno di gruppi di appartenenza; che ruolo abbia il teatro oggi, per gli artisti che lo fanno e per coloro che lo fruiscono; come mai certe tematiche ancestrali non riescano ad essere superate da una società sempre più alienante e tecnologizzata.
Gli ospiti di Vie ci confermano ancora una volta che solo nella “famiglia” i frammenti del nostro io si ricompongono in quell’opera d’arte totale che chiamiamo vita.