Laddove la scena non esiste tutto si risolve nei gesti e nei movimenti che vibrano nell'aria. In Both Sitting Duet la sfida era dichiarata: dalla partitura di Morton Feldman For John Cage provare a effettuare una transcodificazione per mani. I due performer, seduti davanti al pubblico, davano inizio a una danza manuale, come direttori d'orchestra che improvvisamente scoprono di avere nelle mani l'intera orchestra, oppure l'intero corpo di ballo. La musica è scomparsa, si fa un passo indietro, prima di un'ipotetica esecuzione strumentale, per compiere in realtà un bel passo in avanti, sconfinando verso un campo ostico eppure pianeggiante di codici e linguaggi. In fin dei conti si trattava di un vero e proprio esperimento che aveva il sapore e il rigore della matematica.
Con il nuovo lavoro The Quiet dance Matteo Fargion e Jonathan Burrows continuano a muoversi nel silenzio di una scena inesistente. Volutamente anonimo lo sfondo non c'è e tutto si concentra nei movimenti e nei gesti di due corpi anch'essi anonimi. Nessuna decorazione e nessun orpello per un'immagine che seppur vicina appare lontanissima, proveniente da un'altra dimensione o come inclusa dentro uno schermo anch'esso anonimo.
Matteo Fargion e Jonathan Burrows si sono adesso alzati in piedi. E per questa performance danno vita a una geometrica coreografia composta sostanzialmente da passi passi passi. Una meccanica ripetizione nello spazio vuoto di una scena vuota. Otto passi accompagnati da una voce monotona, otto passi, come se si scandisse una fantomatica scala musicale dal do al do senza nessuna variazione. Finisce il vocalizzo e finisce la camminata, come se fosse il suono ad avere il peso e l'energia. Come fosse il suono a spingere il corpo. E nella ripetizione perenne si abbozzano piccole variazioni, si disegnano linee, si gioca con la simmetria e con le figure geometriche. Sempre scaturite dalla grammatica del grado zero: una camminata calamitata da terra a terra, una camminata pesante, ma ostinata, anche se in fin dei conti anonima.
Il ritmo è estenuante perché si tratta di una tiptografia ripetuta con poche variazioni: immaginarsi un martello che batte sull'ordine ferreo del codice, la solita goccia sulla pietra che scava con ostinazione solchi irreparabili. Le sequenze di movimenti stilizzati non possono provocare che il brivido di qualche scintilla numerica. Il codice appare in tutta la propria crudezza matematica, ritraendosi nell'algoritmo, nella legge segreta, nell'enigma. Ricorda i celebri video di Samuel Beckett (almeno Quad) ma l'orizzonte si è trasformato in linea orizzontale, il trascendente non c'è più e la scena vuota è scomparsa. Perché non esiste più scena.