Buio assoluto. Gli occhi cercano invano di vedere qualcosa. In sottofondo dei suoni vibranti. Memento mori del regista, drammaturgo e coreografo francese Pascal Rambert, visto Vie Festival 2013, si apre con una sensazione di pre-morte. Attimi infiniti durante i quali ripercorrere tutta la propria vita fino a quell’istante. Sembrerebbe di star soli nel nulla se non fosse per il respiro del vicino o il mormorio di qualche spettatore impaziente. Il tempo scorre, lentamente appaiono visioni, bagliori, immagini improvvise ed effimere come fuochi fatui, forse allucinazioni. Lo spettatore dubita dei propri occhi, è costretto ad affidarsi alle percezioni suggerite dal suono e dalle luci, e viene guidato in un mondo ancestrale, adamitico, dove i movimenti di cinque performer sono bozze di gesti non ancora ben definibili. La musica cresce e la luce si fa soffusa, quasi una nebbia misteriosa, i movimenti diventano più nitidi, il ritmo aumenta ancora, ogni cosa vibra, lo spettatore è sempre più coinvolto. Figure allungate, sovrumane, trasportano qualcosa.
Buio. Corpi aggrovigliati. Odore penetrante di frutta. Rumore di carne schiacciata. Luce. I performer dal fisico masaccesco sembrano morti o forse semplicemente spossati da un rito dionisiaco da cui si risvegliano ormai evoluti: camminano. Lo spettatore si rianima con loro e sembra uscire dalla caverna di Platone, spaesato, sconcertato ma soddisfatto di aver superato la prova e proseguire verso un momento successivo della propria vita. Proposto come coreografia, Memento Mori ha un forte impianto registico che immerge lo spettatore in un universo dove protagonisti sono i sensi, un’esperienza da vivere sul proprio corpo e dalla quale farsi attraversare.
Sonia Logiurato
Laboratorio per uno spettatore critico a Vie Festival 2013