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20/03/2018
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Teatro e giovani generazioni: un incontro-dibattito a Castelfiorentino


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Performing Gender: gran finale a Bologna


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Master in Imprenditoria dello spettacolo 17-18, Università di Bologna


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Con occhi nudi: un itinerario al femminile


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Lettera 22. Premio giornalistico nazionale di critica teatrale under 36


04/09/2017
Cornice Aperta. Aperitivo con gli artisti del Festival Danza Urbana


19/05/2017
Maggio all'infanzia, dal 17 al 21 maggio a Bari


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Ivrea Cinquanta – Mezzo secolo di Nuovo Teatro in Italia 1967 – 2017. Genova, 5-7 maggio


29/03/2017
Un teatro in mezzo ai campi: 8 aprile con le Ariette


24/03/2017
''La formazione del nuovo pubblico'': un convegno sabato 25 marzo ad Albenga


28/02/2017
“Comizi d’amore”, open call per registi/drammaturghi e attori under 35 di Kepler-452


11/01/2017
La cultura nell'economia italiana: il 13 gennaio un convegno a Bologna


05/12/2016
Impertinente Festival: il teatro di figura a Parma, dal 7 all'11 dicembre


07/10/2016
Master in imprenditoria dello spettacolo, Bologna, anno accademico 2016-2017


23/09/2016
Infanzia e città a Pistoia, dal 24 settembre al 5 novembre 2016


03/09/2016
Dalla Cultura alla Scuola: ''Cosa abbiamo in Comune'', il 7 settembre a Bologna


31/08/2016
Electro Camp – International Platform for New Sounds and Dance, a Forte Marghera dal 7 all'11 settembre


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LABORATORIO "PER UNO SPETTATORE CRITICO" > La rivoluzione c'è già stata. ''May B'' di Maguy Marin
In un certo senso, il dolore non rappresenta più un problema per gli uomini. Fonte di ogni conoscenza, è stato analizzato, sviscerato e ha trovato ormai il suo posto nello scaffale dei valori. È diventato il sigillo dell'eroe, il contraltare fraterno della felicità che chiude il cerchio e forma finalmente la sfera da cui discendono il comico e il tragico, principali se non uniche attitudini estetiche verso l'esistenza. Il dolore è lì, lo rifuggiamo dal lato pratico e ce ne dimentichiamo spesso da quello teorico, ma non cessa di infondere di senso ciò che siamo (e ciò che guardiamo). Allo stesso modo, grazie a tante esperienze novecentesche di cui c'è ancora forte eco nella contemporaneità, anche tutte le qualità che popolano il “fuori” di questa sfera hanno guadagnato legittimità e catalogazione. Lo schifo, il disgusto, l'eccesso splatter della visione, l'o-sceno appunto, fanno ormai parte di un immaginario comune che continua a titillare l'occhio, a volte come gratuita provocazione altre come violenta e benefica epifania.
Eppure, così facendo, rimangono escluse dallo sguardo una miriade di sensazioni intermedie, un pulviscolo di interrogativi sottesi. Dio è morto, ma ragioniamo sempre per assoluti. Dio è morto, ma “vogliamo che vivano tanti dei” e mascheriamo con la molteplicità il nostro inconfessabile desiderio di trascendenza. Che ne è allora del fastidio, del prurito, del singhiozzo e dello spasimo nascosti tra la polvere del quotidiano? Dove vanno a finire il rantolo del triviale e lo scrocchio del mediocre? Sarebbe troppo facile buttarli nel grottesco, che è in fondo una forma di nobilitazione posticcia, o nella letterarietà dell'inetto, che è poi un altro modo di astrarre ed elevare. È possibile invece una vera e propria epica immanente dello sbadiglio, un'epopea tutta materialista dello sgradevole? È possibile esplorare le soglie del pressapoco, senza che questo diventi nulla, o fermarsi alle porte del qualunque, senza sfociare nell'indefinito?


Maguy Marin, May B (ph D.Grappe)

Di questo, forse anche un po' inconsciamente, si occupa lo spettacolo del 1981 May B (recentemente riproposto nell'ambito di VIE), uno degli apici della carriera della coreografa francese Maguy Marin. Dieci ballerini ricoperti d'argilla, già trasfigurati per le loro caratteristiche corporee oltre che nei movimenti, fanno il loro ingresso su un palco che è un limbo, una condizione liminale di eterno oblio, dove tutto ciò che accade sembra essere allo stesso tempo già avvenuto più volte e destinato a ripetersi all'infinito. É una massa di spiriti del sottosuolo che fluttua sulla scena, in cerca di qualcosa che sanno non arriverà mai (come il Godot di Beckett, alle cui opera è infatti esplicitamente ispirato May B, tanto che la composizione di quest'ultimo è stata accompagnata da vari incontri fra la coreografa e il drammaturgo irlandese). Con un'armonia tutto sommato ben definibile ma sempre screziata da ritmiche indecisioni, piccoli elementi fuori posto e da un calcolato incespicare, i danzatori vagano ora in gruppo, ora a coppie oppure da soli. A volte si fermano, per ridere sguaiatamente o comporre strambe “partiture di incrostazioni sonore”. Altre volte si lasciano andare a gesti inconsulti che rimandano spesso a pulsioni elementari, di certo non tenere ma talmente decrepite da non risultare mai violente o sfrenate.
È un'umanità goffa e reietta, rappresa in un circolo di esclusione. Non c'è, almeno nella prima parte, alcun riscatto o redenzione così come non c'è né giudizio né condanna. C'è un'inconsapevole accoglimento della propria condizione che sfocia in uno sghembo carnevale dalle tinte buzzelliane, in cui i danzatori fanno esperienza attraverso gli altri del loro egoismo spicciolo, per fondersi in un'ingenua coscienza collettiva che non hanno voluto né cercato, ma che si gonfia sino a espungere tutto il resto. Ciò che vediamo sul palco è veramente l'Utopia, non intesa in senso classico come orizzonte irraggiungibile verso cui orientare il cammino, bensì un'utopia del qui e ora, scevra da qualsivoglia tensione verso il futuro o promessa di esodo verso il fuori.
Maguy Marin ci mostra un mondo senza Borghesia, finalmente libero dalla grazia e della mediazione dove l'assurdo non è metafisica assenza di senso ma concreta filigrana di un desiderio grezzo e verace. É come essere di fronte all'evidenza di una rivoluzione che si invera senza compiersi, che invece di assaltare il Palazzo d'Inverno ne rosicchia le fondamenta fino a cambiarne completamente la facciata.
Da questo punto di vista May B va oltre Beckett. Accettando pienamente il non-senso e trasportandolo nel quotidiano, inchioda lo spettatore a una scelta che non lascia scampo: questa è l'alternativa che cercavate, prendere o lasciare. Eccolo qua il mondo nuovo, forse non migliore come lo si aspettava eppure sinceramente “altro” nel suo essere sempre esistito sotto la coltre del buon (o cattivo) gusto.



Tuttavia, se la prima parte apre tale orizzonte di possibilità, la seconda lo richiude di colpo pur apparendo come un ampliamento del discorso. Gli “spettri” escono di scena mangiati da una parete scura che occupa il fondo del palco e lasciano posto a veri e propri personaggi del teatro beckettiano (ci sono i protagonisti di Finale di partita, Aspettando Godot, Va e vieni). La musica cala di tensione e viene ripetuta allo stremo, mentre l'atmosfera, comunque rarefatta, si scioglie in una dimensione di malinconica dolcezza. I danzatori, instabili, spesso occupano lo spazio restando fermi oppure si muovono in fila come gracili marionette, esplorando i confini del palco in cerca forse di una via di fuga o semplicemente della consapevolezza del posto in cui si trovano. È una ricaduta nel mimetismo, che certo mantiene intatte la tensione e la felicità compositive dell'inizio, portandole magari anche a un livello più compiuto, ma che in fin dei conti si esaurisce in una replicazione di Beckett, pur sublimandola nel gesto. Si affacciano, cioè, gli stessi limiti rinvenibili anche in Bit, altra proposta della coreografa presente a VIE, dove l'afflato cosmico e potenzialmente omnicomprensivo dell'opera si risolve spesso in un simbolismo univoco che rischia di diminuire la carica visiva in favore di significati più netti.
L'assenza della borghesia si trasforma in critica della stessa e, così facendo, le conferisce nuovamente centralità, restituendoci l'idea di rivoluzione non più come ribaltamento istantaneo ma in quanto speranza per un domani (che sappiamo comunque non arrivare mai). Il non-senso, che prima formava un microuniverso perfettamente autonomo, si assolutizza e diviene il contrario del senso, legittimando implicitamente quest'ultimo. É un groppo in gola crudele che, dopo averci mostrato l'eversione nella sua nuda attualità, si chiude lasciandocene solo la promessa. Un groppo in gola che, con la sua eco dolceamara, rende May B - strano zibaldone di anti-bellezza - meno dirompente ma forse più completo e attinente alle proprie premesse: “c'est fini, ça va finir, ça va peut-être finir” cadenzano i personaggi. La rivoluzione si farà, la rivoluzione è impossibile, la rivoluzione c'è già stata, era con noi da sempre ma ce n'eravamo dimenticati.

di Francesco Brusa


IMMAGINI
 


COMPAGNIE
   

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14 - 22 ottobre 2017
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Perché passi un po' di caos libero e ventoso

ottobre 2016
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Arti sceniche internazionali e italiane

1-4 ottobre 2015
Crisalide
Non è successo niente, è ciò che stiamo diventando

25 settembre - 4 ottobre 2015
Contemporanea Festival 2015
Le arti della scena

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9-25 ottobre 2014
Vie Festival 2014 Modena___Emilia
Arti sceniche internazionali

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Santarcangelo · 14
Festival internazionale del teatro in piazza

12 - 21 luglio 2013
Santarcangelo · 13
Festival Internazionale del Teatro in Piazza

aprile 2013
Pinocchio della non-scuola
Immagini a cura di Osservatorio Fotografico, note a margine su Pinocchio

5-13 ottobre 2012
Tempo Reale Festival
Ricerche musicali contemporanee

14 - 23 luglio 2012
SANTARCANGELO •12
Festival internazionale del teatro in piazza

Primavera 2012
Vie Scena Contemporanea Festival
Arti sceniche internazionali

Marzo 2012
BilBolbul 2012
fumetto, illustrazione, disegno

ottobre 2011
Vie Scena Contemporanea Festival
Teatro internazionale a Modena, Carpi, Vignola e limitrofi

Settembre 2011
Arca Puccini - Musica per combinazione
Rock indipendente italiano e internazionale