Lei, Eva Geatti, è alta e bionda. È stata l’icona glamour di Rooms dei Motus. Lui, Nicola Toffolini, è artista visivo, inventore di organismi artificiali che aspirano all’organico. Insieme hanno fondato, qualche anno fa, il gruppo teatrale Cosmesi. Nel 2005 hanno vinto il premio Iceberg con un atto senza troppe parole in cui lei viveva una bianca solitudine in una geometrica stanza piena di oggetti ribelli. Sono stati al festival di Santarcangelo. Creano architetture autosufficienti, spazi non teatrali in evoluzione. Con le difficoltà ormai endemiche che incontrano tutti gli artisti che cercano strade inedite. I loro lavori più recenti si sono contenuti - per necessità che diventa scelta acquisendo impreviste virtù - nella misura del corto.
Quest’inverno Mi spengo in assenza di mezzi metteva in scena proprio l’impossibilità di realizzare un progetto già concepito, offrendo allo spettatore un provocatorio spettacolo al buio. Una ballerina in tutù avanzava nella luce proiettata da un uomo decorato da minatore. Ritornava indietro. Avanzava. Indietreggiava instabile sulle punte. Poi l’uomo usciva e il resto era buio. Solo suoni, sottili o penetranti, che facevano tremare o accarezzavano. Baluginava qualche sembianza. Una risata. Un fallimento. Una sensazione di freddo, di fine, lo sventolio di una bandiera penetrava l’aria di vento. Una pallida luce: un corpo steso morto sotto un drappo nero. Solo venticinque minuti, che mettevano in questione lo spettatore, le sue attese di consumo di immagini, la sua percezione, e sfidavano le chiusure del sistema teatrale.
La prima donna, invece, dura anche meno. È un paradosso in forma di delizioso haiku teatrale. Eva, questa volta, è erta su un sostegno, avvolta in una lunga veste bianca e rossa, sotto una banderuola e un manicotto di stoffa, ugualmente bianco e rosso, che ricorda i sistemi di segnalazione degli areoporti. Lei sembra incapsulata in un paracadute, tra rumori di partenze e echi agresti. Sono dieci minuti, ironici e intensi, sulla distruzione, la trasformazione, la nascita, sul metropolitano e il naturale, con mutazione della donna in gallina che si offre insinuante al galletto di latta segnavento e un onirico momento centrale in cui l’involucro-paracadute si gonfia, tra trasparenze, rombi e acidi colori, per generare la conseguenza di tante premesse: un uovo.