È una farfalla o una libellula privata del suo volo e condannata a vivere al grado zero dell'orizzonte. Sonia Brunelli in Umo è un semplice vibrare di dita, una geometrica sequenza di micro-movimenti che disegna a terra fragili traiettorie, eppur tenaci. Lo sfilarsi di calzini e un improvviso getto d'acqua sembrano spogliare un corpo che si distende principalmente nello spazio di una schiena. La guardiamo da vicino, mentre le braccia sono ali bagnate, troppo pesanti per volare ma ancora capaci di vibrare e di rispondere agli sguardi. Il volto della Brunelli rimane fisso a terra, inavvicinabile, sempre nascosto, sempre sottratto.
(R.S.)
Umo è humus di pelle, raggrumata nella massa informe di un dorso nudo che emerge dal suolo, lucido linoleum nero irrorato nell'ombra da una sottile, silenziosa vena d'acqua. Non carnoso come l'umano, ma carne ferrigna, brulicante materia terrestre e primordiale, il corpo di Sonia Brunelli si mostra e occulta per uno sguardo frontale, alle sue spalle, lungo l'orizzonte su cui affiora dalla profondità del muscolo il pulsare tellurico della creazione, della gestazione, del moto.
Corpo scosso da un fremito trattenuto a fatica nello scheletro, curvo, con la spina dorsale conficcata a terra, comprime nell'addome un nucleo instabile e incandescente di energia fisica. La irradia lungo gli arti, nel tremore spasmodico di una mano, all'eccesso eppure rigoroso e regolare. Essenziale, con misura, come contrastasse la densa pressione dell'atmosfera, ritrova la complicità di una forza arcaica, dal sottosuolo, nella potenza di un gesto puro.
(V.B.)
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