Abbiamo incontrato la danzatrice e coreografa Paola Bianchi, già animatrice dl progetto AGAR e ora della formazione collettivo c_a_p. insieme ad altri coreografi, Paola Bianchi ha fondato il gruppo di lavoro KAIRÓS, un nuovo esperimento nato per passaparola e contagio tra la generazione di danzatori quarantenni italiani.
Dopo la recente creazione di collettivo c_a_p, hai pensato di dare inizio ad un nuovo progetto dal nome kairòs. Qual è stata la sua genesi e in cosa si differenzia da c_a_p?
Il collettivo c_a_p è nato nel 2009 per colmare un vuoto allora molto evidente: l’assenza quasi totale di spettacoli di danza contemporanea all’interno dei cartelloni teatrali della provincia di Rimini. In questi anni l’impegno del collettivo è stato quello di creare eventi, di diffondere la cultura della danza contemporanea, di dialogare con le istituzioni affinché colmassero quel buco. Il collettivo c_a_p non è una compagnia di danza; al suo interno ci sono tre coreografe, un ricercatore universitario, una fotografa e molti amici che sostengono il nostro lavoro. Le iniziative nascono sempre da bisogni, da desideri. KAIRÓS è nato da un’esigenza forte, quella di uscire dall’isolamento in cui molti coreografi e danzatori si sono trovati, isolamento dettato dalla situazione economica disastrosa e da alcune politiche culturali miopi. In quanto coreografe sentivamo forte il desiderio di scambiarci pratiche, di entrare in contatto con altre situazioni, di poter sperimentare e provare in un tempo svincolato dalle dinamiche produttive ed espositive. Sembra ormai impossibile avere un tempo per la ricerca pura, così come avere una sala a disposizione. KAIRÓS cerca di essere una risposta a tutto ciò, posizionandosi come un luogo in cui, attraverso la discussione e la pratica, si sperimenta il lavoro sul corpo.
[Sara Simeoni, foto Lutz Gregor]
Ci puoi raccontare com'è stata pensata la chiamata degli artisti, se ci sono stati dei criteri o si è diffusa per contagio e passaparola? E da chi è formato il gruppo attualmente?
Abbiamo discusso molto sulla modalità della chiamata e sui criteri. Innanzitutto abbiamo deciso di coinvolgere solo coreografi professionisti, indipendenti e con un minimo di esperienza (non abbiamo stabilito alcun limite di età). La chiamata è stata personale, indirizzata a coreografi che stimiamo, di cui apprezziamo la costanza, la tenacia; con alcuni di loro avevamo già avuto dei contatti, con altri no. Ne abbiamo così individuati circa dieci ai quali abbiamo inviato una mail descrittiva del nostro pensiero. C’è stato chi ha risposto con entusiasmo, chi con un rifiuto, chi non ha risposto affatto. A tutti coloro che hanno aderito abbiamo chiesto di estendere l’invito a un altro coreografo/danzatore in modo da poter incontrare anche persone che non conoscevamo. Finora ci siamo incontrati una sola volta per tre giorni al Lavatoio di Santarcangelo e in quella occasione il gruppo era composto da me, Marta Lucchini, Valentina Buldrini, Carmelo Scarcella, Monica Bianchi, Laura Liuni, Giovanni Scarcella, ma dal prossimo incontro altri si uniranno a noi.
Per quanto riguarda la provenienza, oltre alla componente riminese del collettivo c_a_p, c’è chi arriva dalla Lombardia, dalla Toscana, dall’Emilia, dalle Marche e dal Belgio, tutti convinti che il progetto rappresenti una pratica innovativa transnazionale. Noi non siamo e non vogliamo creare un gruppo chiuso. In KAIRÓS non decide la maggioranza, decide l’unanimità; ogni voce ha lo stesso peso di tutte le altre insieme. Affrontare il lavoro sul corpo con estrema apertura ci ha portati a stare insieme in un modo diverso. Non c’è giudizio, non c’è pregiudizio. Ci siamo posti in una condizione di ignoranza e di libertà, di disponibilità e curiosità che vogliamo proseguire e difendere. Siamo partiti dal corpo, il corpo come luogo di incontro: il corpo individuale e il corpo del gruppo. È un processo che si inscrive man mano, nel quale il gruppo si lascia condurre dal filo delle pratiche e dal confronto, generando via via questioni, domande, ipotesi...
Di che luoghi e possibilità si è potuto avvalere KAIRÓS e quali sono le sue prospettive future?
Per ora si è attivato un dialogo con Silvia Bottiroli che ha appoggiato il nostro progetto e ci ha quindi messo a disposizione il Teatro Lavatoio e la foresteria del Festival di Santarcangelo. Questo è avvenuto senza che la direzione del festival ci chiedesse un contributo economico o una apertura al pubblico. KAIRÓS è partito da Santarcangelo ma non ha una dimora fissa; nelle nostre discussioni serali abbiamo anche pensato a un KAIRÓS itinerante, vedremo. Non essendoci risorse economiche non possiamo permetterci di incontrarci spesso. Dopo l’incontro di fine gennaio ci vedremo a fine marzo e a fine aprile, sempre per tre giorni. Certo se qualcuno volesse sostenerci saremmo ben contenti, ma KAIRÓS non deve essere snaturato; è uno spazio di ricerca libero da contratti, libero dall’esposizione pubblica. In estate vorremmo fare un periodo più lungo di lavoro, una settimana, forse dieci giorni, ma ancora non sappiamo in che luogo.
In che preciso confine si vuole posizionare KAIRÓS rispetto alla formazione del danzatore nell'Italia di oggi? E che rilancio vuole attuare rispetto alla desertificazione e alla mancanze formative che conosciamo?
Nei nostri incontri - sia dal vivo che su skype - non abbiamo mai parlato di auto-formazione, piuttosto di auto-apprendimento. Nessuno di noi offre agli altri un riscaldamento o una lezione. Siamo tutti lì per imparare a “stare”, in una condizione di apertura a nuove possibilità del corpo e del gruppo. KAIRÓS è un luogo in cui potersi confrontare senza timori, tornando a un livello di ignoranza che ci permette di rinnovare il nostro fare. Il corpo del gruppo è il primo luogo dove sperimentare e dove creare relazioni, attraverso pratiche, esercizi, confronto. Siamo parte di KAIRÓS per poter dar vita a un'utopia, ovvero lavorare, ricercare, indagare senza alcun fine produttivo, in un’estrema libertà di azione.
[Paola Bianchi, foto Valentina Bianchi]
È previsto un'apertura con un pubblico "sperimentale", un pubblico cioè a cui chiedere di osservare forme non concluse?
Lo sguardo esterno - sia esso quello dello spettatore o il nostro stesso occhio che giudica e sceglie per comporre - attualmente non è parte integrante del processo e della ricerca. Forse più avanti potrà accadere ma unicamente se divenisse un’esigenza interna a KAIRÓS. Il 30 marzo e il 27 aprile dalle 11 alle 14 abbiamo invece deciso di aprire il nostro laboratorio a danzatori, attori e a chiunque abbia esperienza di lavoro sul corpo, per un momento di condivisione delle pratiche in cui tutti parteciperanno attivamente, senza sguardi giudicanti. Ai partecipanti sarà richiesto un contributo a sostegno del progetto KAIRÓS (info e contatti collettivocap@gmail.com).