Nell’anticamera c’è un’enorme mappa del territorio di Ravenna. Dentro la stanza buia, quattro pareti bianche e nove materassi. Gli spettatori si stendono e l’esplorazione uditiva ha inizio. Mundus, prima tappa del progetto Buco bianco prodotto da cooperativa E e Ravenna 2019 e firmato da Luigi De Angelis e Sergio Policicchio (il primo co-fondatore e regista della compagnia teatrale Fanny & Alexander, il secondo artista e performer), è l’esito di oltre cento ore di registrazioni ambientali catturate in un anno, campionate, lavorate e montate per comporre un paesaggio sonoro di 70 minuti che racconta la città di Ravenna. I suoni sono stati raccolti dentro i confini del capoluogo romagnolo, sia nel nucleo urbano che nell’ampia distesa di pinete, paludi e campagne che lo circonda. Un’area che gli spettatori osservano sulla piantina prima di entrare nella sala Holden della Biblioteca Classense di Ravenna, dove Mundus è stato allestito da De Angelis e Policicchio e dove sarà replicato fino a sabato 29 giugno nell’ambito del Ravenna Festival.
La visione della mappa è fondamentale per avere la chiave di lettura di questo lavoro, che evoca da vicino col suono ciò che la carta sintetizza dall’alto. Mundus è un percorso di continue alternanze tra i rumori metropolitani e naturali registrati soprattutto nella zona della Piallassa Baiona, la palude situata tra il quartiere delle industrie chimiche e i confini della pineta; una sorta di limbo tra le due anime della geografia ravennate evocate dalla composizione.
Nel lavoro l'ambiente non s’intromette nell’aleggiare dei suoni. Le pareti bianche della Holden offrirebbero la possibilità di proiettare immagini, ma i due autori hanno trasformato la dimensione visiva in un desiderio latente, confinando l’occhio a organo interiore. L’unica possibilità di vedere si guadagna addormentandosi flaianamente, con le immagini che spontanee riempiono la dimensione intima dello spettatore steso e avvolto dal suono tridimensionale. Ciò che Mundus scatena è quindi un viaggio che supera la semplice mappatura sonora; un percorso aperto che si fatica a riferire senza inserire la propria personale interpretazione.
Il paesaggio inizia con il traffico cittadino che subito lascia spazio ai versi di uccelli in volo, e prosegue con un’esplosione di fabbriche, cantieri, lavori meccanici, stridori, macchinari in funzione incessante, poi treni e ticchettii ritmati che rendono la frenesia del lavoro in questa città vocata all’industria. Sono rumori familiari alle orecchie dei ravennati, con fischi simili a quelli delle teiere sul fuoco; tuttavia il ritmo, energico e incisivo, lascia a lungo lo spettatore irrequieto.
Dopo tale fervore l’atmosfera si rilassa con il canto notturno dei grilli, poi l’alba riempita dagli uccellini al risveglio. Ora i rumori della città che riparte rimangono in sottofondo fino a sparire: il viaggio di Mundus sembra addentrarsi nell’enorme pineta di Ravenna, tra i versi di insetti, volatili e altri animali. Ma che si tratti del vento o di stranianti boati, l’esplorazione della natura sembra sempre avere un’ombra cupa, come se a Ravenna non riuscisse mai a realizzarsi. Infatti a un certo punto gli animali si agitano e fanno emergere un’inquietudine che pare interminata. È passata ormai un’ora e Mundus sembra lasciare senza speranza, anche perché finora non si è sentito il mare, nonostante faccia parte del territorio ravennate e dunque l’ascoltatore possa tendere a cercarlo come unica apertura verso la salvezza. L’atmosfera diventa invece sempre più rarefatta, con i versi degli animali che lentamente si spengono finché non ne rimane uno solo a lamentarsi a lungo, innescando uno straziante senso di solitudine. Il commiato è reso dal flauto suonato da Sergio Policicchio che soffia note stonate, stridule e acute; come un pianto urlato mentre il volume decresce. Mundus pare arrivato a una pessimistica fine, ma è a questo punto che giunge, ormai inaspettato, il suono del mare accompagnato dalla sirena di una nave che si allontana. La sensazione di negatività scompare e lo spettatore ha una via d’uscita dalla natura soffocata e dalla frenesia urbana e lavorativa della città.
Il viaggio personale all’interno di questi 70 minuti di paesaggio sonoro si articola lungo una trama solo parzialmente guidata. La prima tappa di Buco bianco apre dunque una questione: cosa significa descrivere una città attraverso i suoi suoni? Le registrazioni di Mundus non sono elaborate bensì lasciate inalterate; eppure, essendo l’opera frutto di un montaggio, la composizione è inevitabilmente anche la scelta di un percorso degli autori prima che del pubblico.
Filone della musica organica e ambientale, il paesaggio sonoro è stato teorizzato negli anni ‘70 dal compositore canadese Raymond Murray Schafer, che già sosteneva l’importanza di salvare e proteggere i suoni che, spesso, l’orecchio dell’uomo ignora o trascura. L’ordinata partitura del lavoro, immettendosi in questo ambito, ricorda al cittadino ravennate la natura che lo circonda e lo fa senza considerare la voce umana, assente perché già disponibile in ogni altro luogo. Merito di Mundus è avere oltrepassato la modalità di semplice mappatura, fornendo una narrazione interpretabile come un invito urgente all’ascolto e al movimento. E dato che la materia entra prepotentemente nella percezione dello spettatore, nonostante la dimensione sia puramente sonora, affascina l’idea di fruire di un ascolto simile immersi in un luogo naturale. De Angelis e Policicchio hanno già annunciato l’intento di regalare ai cittadini una versione sinfonica più lunga da ascoltare in un grande spazio aperto: con tale esito il distacco tra occhio e orecchio sarebbe ancora più evidente, poiché i suoni sarebbero disallineati rispetto all’ambiente, ma gli ascoltatori osserverebbero la fonte dei rumori che fino a quel momento hanno ignorato, sapendo che sono sempre disponibili. In questo modo Buco bianco raggiungerebbe una nuova modalità di esprimere e fruire il paesaggio sonoro per non limitarsi a proteggerlo ed esporlo, ma anche a comunicarlo con efficacia.