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La legge del denaro. Trattato di economia e Lourdes di Andrea Cosentino hello
Published Date: 0000-00-00 00:00:00


foto Enea Tomei

Trattato di economia di Roberto Castello e Andrea Cosentino (Ponte a Moriano, Lucca)

Non poteva che essere così. Il 2015, tra le tante cose, è stato l’anno del nuovo regolamento ministeriale e per chi fa teatro un anno di grandi cambiamenti. Ora con l’anno nuovo confusione e disordine sembrano crescere, ma nella confusione ci sono sempre brecce che si aprono, per la buona volontà di pochi volenterosi e anche per coincidenze fortunate che, nel caos, possono crescere. Prendiamola così, per non lasciarci andare alle angosce di una crisi economica paludosa che investe tutto quanto e accentua comportamenti più feroci. Insomma, anche guardandola dal punto di vista del teatro, sono le prepotenti leggi dell’economia a “dettar legge”, ed è allora naturale, e giusto, che tutto questo diventi materiale non solo di riflessione, ma proprio “di spettacolo”. Trattato di economia è l’originale incontro tra il danzatore e coreografo Roberto Castello, con un approccio molto “teatrale” nei suoi lavori (costruzione di situazioni, drammaturgie e personaggi, con accadimenti che danno esisto a volte a micronarrazioni…), e Andrea Cosentino, attore spesso “solitario”, dalle qualità comiche rare, declinate sulle tortuose circonvoluzioni di parole, gesti e voci che suggeriscono atmosfere al contempo caustiche e malinconiche, assurde e lunari. Due personalità vicine e allo stesso tempo distanti che danno vita a uno spettacolo nel quale si mettono alla berlina le strane regole economiche. Si inizia con una domanda, come si fosse a una conferenza o a una lezione universitaria: perché  lo stesso materiale di plastica, seppur con forme varie (la paperetta per la vasca del bambino e un fallo), hanno prezzi sensibilmente differenti? È l’uso che se ne fa a dettare il prezzo? O la forma? Dall’economia degli oggetti si passa all’economia della cultura, in particolare alle assurdità dell’arte contemporanea, ma soprattutto alle mode e ai generi che contraddistinguono il teatro cosiddetto di ricerca, perché anche lo spettacolo teatrale è un prodotto che si vende. Le forme concettuali, gli eccessi del visivo, l’interiorità delle modalità espressive vengono una a una parodiati da piccole scene costruite da Castello, mentre Cosentino è sempre impegnato a rincorrere i suoi lunghi e curiosi monologhi.
Cos’altro dire? È un “coreocabaret”, secondo la definizione scelta dagli stessi autori. Perciò si susseguono scene e “numeri”, alcuni efficaci e divertenti, altri un pochino più prevedibili, come spesso accade in formati volutamente aperti e ibridi. Le pretese sono alte e alcune rimangono sospese o non del tutto sviluppate (si dice a un certo punto al pubblico, parafrasando: “Perché per dire una cosa in teatro non posso farlo esplicitamente, ma devo usare qualcosa che mascheri, alluda… Vorrei questa volta dire le cose per come sono”). Ma è proprio questa incongruità di materiali, e infine anche di presenze sceniche, a rendere il lavoro originale. Fino alla conclusione beffarda: viene mostrata la videorecensione di un noto critico che si conclude con l’ammissione candida di non aver visto lo spettacolo. Eppure la recensione, benché dai toni volutamente involuti, è bella, precisa, a tratti illuminante. Al pubblico il compito di trarre le proprie conseguenze…

Rodolfo Sacchettini
 



foto Eugenio Spagnol

Lourdes di Compagnia CapoTrave/Andrea Cosentino (Teatro Rasi, Ravenna)

Con i suoi inventivi flussi fatti di mille personaggi (Angelica, Not here not now, Primi passi sulla luna per citare alcuni degli esiti migliori), Andrea Cosentino ci ha saputo regalare delle gustose e lungimiranti caricature sull’uomo contemporaneo. Capacità che ha di recente confermato in Lourdes, questa volta non uno spettacolo da lui scritto e diretto, bensì firmato dalla regia di Luca Ricci e prodotto da Teatri del Sacro.
Quello di Cosentino verso Lourdes è un viaggio che inizia in mutande – anche se in realtà l’inizio di questo spettacolo è la fine della storia, perciò sarebbe meglio dire che è la fine del viaggio ad avvenire in mutande. Ma in fondo è il viaggio a contare più della meta: Cosentino impersona una donna, Maria Angulema, recatasi nella città dei miracoli per chiedere alla Madonna le ragioni della morte di suo padre. È il racconto in flashback del viaggio a impegnare tutta la narrazione: riscrittura teatrale dell’omonimo romanzo di Rosa Matteucci, Lourdes ironizza sui credenti e i pellegrini, raccontando la grottesca odissea di un gruppo di compaesani storpi e diabetici che dalla remota provincia dell’Umbria vogliono immergersi nelle acque sante che curerebbero tutti i malanni. Acque che sembrano però piene di peli e di pus, che sono accessibili dopo avere passato una lunga fila gerarchizzata da guardiani in divisa, acque che perdono insomma la loro spiritualità, divorata dal turismo religioso. In questo monologo assurdo ma non troppo lontano dalla realtà, Maria sembra l’unica persona pura: si reca a Lourdes come dama di carità, ma è troppo impegnata per trovare il tempo di dedicarsi a quello che definisce il suo «fardello», il pensiero della morte del padre. Dopo scene esilaranti come l’innamoramento platonico per il matto Gonzalo e l’abbandono senza indugio di un’anziana per non perdere il treno, Maria arriva infine nella grotta dove avviene l’improvvisa folgorazione: si denuda e sfiora l’acqua santa, sente l’amore universale, comprende Dio, lo ringrazia per il suo «fardello» e si pente allo stesso tempo di quella «gioia immeritata». Un finale che riesce a farci capire quanto bruscamente può arrivare quell’illuminazione spirituale che solo gli autentici credenti raggiungono.
Per quanto difficile da adattare al teatro, Lourdes è un testo letterario incentrato sui temi che agitano da sempre Cosentino – come la religione e la morte, affrontate con corrosiva ironia – e infatti l’attore spicca per la sua capacità di recitazione frenetica ed espressiva ma mai scolastica, riuscendo a rimanere un autentico attore-autore che fa della sua condizione marginale – quella che lo lascia “in mutande” – un valore per rimanere sul palcoscenico con intelligenza e talento da più di 15 anni.

Alex Giuzio


di Rodolfo Sacchettini , Alex Giuzio


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