Vedi alla voce deficit. Il Devoto Oli dice “eccedenza del passivo sull’attivo”. Allora parlerò dello sguardo come deficit indotto. La somma di intuizioni che hanno attraversato la giornata di ieri a Deficit! (il festival) indirizzano tutte verso uno sguardo che, rifiutandosi alla sicurezza, deve scavare da sé un suo percorso per riuscire a snidare e a rinnovare un senso. L’unico appoggio dato è la negazione dell’arroganza di una visione univoca. Con atto violento e irriverente, intimidatorio e al tempo stesso fragile, si nega una visione, senza suggerire strade alternative, ma lanciando accenni smozzicati aperti alla creazione individuale di forme diverse di visione.
Lo spazio neon>campobase ospita Idiozie sofisticate collezione di gesti idioti che escono dai territori della razionalità: la video installazione di Mercuri propone un video in loop. Mostra un viso di uomo che guarda il mondo con occhi finti, di vetro tenuti da dita sottili, Fliri ci propone un breve video di spiazzamenti prospettici dietro a travestimenti improbabili, e per finire, Monica Cuoghi in live, grazie al tappeto sonoro che crea in presa diretta dal suo laptop, fa nascere atmosfere sonore evocate inizialmente dalla maschera di cartone con le orecchie dietro alla quale si nasconde. L’artista induce una visione ad occhi chiusi. Lei è ferma, blindata dietro al suo computer, lo sguardo, non trovando nulla a cui aggrapparsi, sfugge a occhi chiusi dai territori dati.
All’Ex Bologna Motori, la performance $ Shot Lacey/Lauro/Parkins/Cornell spiega di fronte al pubblico simboli attinti dal codice narrativo del genere pornografico per indagare la relazione tra voyerismo e contemplazione. Oltre ai classici feticci come scarpe, calze e mutande, i segni che abitano lo spazio, sono più sottili e raffinati: lo spazio bianco è tappezzato a terra da materassini gonfiabili riempiti da liquido lattiginoso, chiaro richiamo al latte materno; verticalmente la parete è ricoperta da una striscia di linoleum disegnato a finto legno. Acqua e legno-terra sono due degli elementi più evocativi della sessualità, fin dai tempi di Empedocle che li faceva corrispondere alle sensazioni di secco e umido. Anche per questa performance vale il discorso sullo sguardo dello spettatore che si fa attivo regista (o fotografo) della scena, in assenza di una imposizione esterna. Il tempo sgranato espone i corpi a uno sguardo voyeristico che sceglie di osservare non ciò che si mostra consapevole, ma ciò che è.
Lo spazio sovraesposto della scena, se da un lato permette maggiore libertà, non aiuta a chiudere l’obbiettivo della macchina fotografica nelle mani dello spettatore.