Per Menoventi il tessuto della realtà e le sue infinite increspature sono materia di lavoro, luogo denso in cui agire l’attore e i suoi strumenti. -20 sono i gradi del “termometro alla rovescia” che scandisce la sua ricerca: un percorso che avanza per sottrazione, rubando al pubblico tutto ciò che possiede per sentirsi al sicuro nel buio della sala. Il lavoro della compagnia faentina, nata nel 2004 dall’incontro tra Consuelo Battiston, Gianni Farina e Alessandro Miele, si muove in questa direzione, attraversando i confini della rappresentazione, abitando radicalmente il teatro fino a traboccare fuori dalla sua cornice. L’esordio con In festa (2005) segna già la vocazione di Menoventi all’indagine sulla percezione della realtà, che in questo caso si svolge nella messa in scena di un’attesa senza fine, ambientata nella cucina dove una coppia aspetta invano gli ospiti per la cena, mentre giungono doni imprevisti e frammenti di corpi a far visita. Il vero senso di ogni ricerca sta nel suo movimento incessante: ogni spettacolo diventa per lo spettatore una lente deformante sul mondo, uno strumento in grado di mettere in discussione ogni relazione tra le cose, e primo fra tutti il patto finzionale che intercorre tra scena e platea. Ma è in Semiramis (2008) che la ricerca sui possibili livelli che si aprono tra realtà e finzione entra nel lavoro, generando un monologo stratificato, di cui Consuelo Battiston porta con grande abilità il carattere surreale e spaesante. La figura della regina assira, passata attraverso il barocco di Calderón de la Barca, diventa qui il punto d’intersezione fra l’ambiguità del potere e quella della rappresentazione. InvisibilMente (2008) si gioca tutto sul confine fra il teatro e il suo “doppio”, ovvero la realtà: due maschere occupano ripetutamente il palcoscenico, rimandando ogni volta l’inizio di uno spettacolo che forse è già cominciato, mentre invisibili pensieri si rivelano sullo schermo alle loro spalle, sprofondando lo svelamento nella rappresentazione di sé stesso. In Postilla (2009) un solo spettatore alla volta è invitato a vendere la propria anima al diavolo per assistere a uno spettacolo di cui poi diventerà protagonista, in un gioco di piani a incastro, che nel 2011 è diventato calembour sonoro nel radiodramma Il contratto. Con gli ultimi lavori i Menoventi sembrano introdursi sempre di più nel fondo di labirintiche questioni. L’uomo della sabbia (2011), tratto dall’omonimo racconto di E.T.A. Hoffmann è un’autentica fabbrica di illusioni: come di fronte a un’incisione di Escher, è lo sguardo dello spettatore che deve spostarsi, scomporsi e reinventarsi continuamente. Gli appigli familiari vengono celati o trasformati, mentre in trasparenza emergono i confini dentro i quali ogni prospettiva è costretta, le cornici nelle cornici in cui precipita all’infinito la nostra percezione della realtà. Concepito per Santarcangelo 41, Perdere la faccia (2011) è un lavoro realizzato con la complicità di Daniele Ciprì e si rivela come radicale indagine sul potere della menzogna.